I finanziamenti. A detta del Fai, servono quattro milioni
di euro per «risistemare» Villa dei Vescovi perchè
possa essere fruita da parte di un grande pubblico. La villa,
in realtà, è stata giudiziosamente restaurata dalla famiglia
Olcese a partire dagli anni Sessanta, con rispetto ed efficacia.
Era normalmente abitata (e visitabile) fino al momento della donazione,
nel 2005. E’ ovvio che edifici di questa entità e di questa età
comportano una cura costante, a partire dalle strutture per finire con
l’impiantistica: ma tutto dipende dall’uso che se ne vuole fare. Si
può dire tranquillamente che per la semplice visita, percorribilità
e sosta negli ambienti di Villa dei Vescovi non c’è attualmente
bisogno di gran lavori. Diverso il caso se se ne vuole radicalmente
cambiare l’uso e la destinazione. Allora i costi lievitano. Ma davvero
fino a quattro milioni di euro? Su questa cifra il Fai ha già
cominciato a battere cassa e a battere la grancassa. E ha già
ottenuto, oltre all’intervento degli sponsor (Regione Veneto, Provincia
di Padova, Comune di Padova, Camera di Commercio, Fondazione Cassa di
Risparmio di Padova e Rovigo, Fondazione Antonveneta, Fondation Segrè,
World Monuments Fund, Istituto Ville Venete, Fiordaliso Centro Commerciale)
tre importanti contributi. Tutti pubblici. S’è dato da fare
Andrea Colasio, deputato padovano della Margherita, responsabile culturale
del partito, consigliere di Rutelli che è ministro dei Beni Culturali.
Ha fatto arrivare un milione di euro da Arcus. Il portavoce del governatore
della Regione Veneto, Franco Miracco, ha agito su due fronti: la Regione,
appunto, che ha promesso trecentomila euro, e l’Istituto Ville Venete,
di cui era commissario pro tempore, il quale dovrebbe stanziare centocinquantamila
euro del suo non pingue bilancio. Alla luce delle perplessità
emerse sul progetto non sono esclusi ripensamenti, e come minimo la
richiesta di garanzie. Dice l’onorevole Colasio: «Vedremo
bene i progetti. In ogni caso siamo pronti a porre precise condizioni
per la concessione dei fondi statali». Una presa di posizione
che suona come un altolà. E all’interno del consiglio di
amministrazione dell’Istituto Ville Venete c’è una forte e determinata
voglia di chiarezza: «Non vogliamo assolutamente finanziare
un sopruso», ha detto chiaro e tondo uno dei componenti. D’altra
parte il Fai cerca denaro ovunque: anche durante le sue «Giornate»
del 24 e 25 marzo scorso l’appello era affidato ai suoi volontari sparsi
ovunque per l’Italia. Quel giorno, una delle preparatissime e probabilmente
inconsapevoli guide al Castello carrarese di Padova, aveva già
fatto lievitare i costi per Villa dei Vescovi a cinque milioni di
euro, battezzati come «impegno del Fai».
(p.c.)
|
Il Fai aggiunge un gioiello dei Colli Euganei al suo patrimonio mobiliare.
La famiglia Olcese ha infatti donato al Fondo Italiano per l’Ambiente
la monumentale Villa Vescovi, che negli anni Sessanta acquistò
dalla Curia Padovana, che ne commissionò nel XVI secolo la costruzione. La
sontuosa villa di Torreglia, nella frazione Luvigliano, sarà
così gestita, conservata e aperta al pubblico dal Fai, che dopo
la firma della cessione gratuita dell’immobile e dei suoi preziosi mobili
(firma apposta alla fine del 2004), è già attivamente
alla ricerca di grandi sponsor per affrontare un restauro che richiederà
circa tre milioni di euro di investimento. Lo stesso Fai attiverà
poi, entro la fine dell’estate, non solo una campagna informativa sulla
preziosa acquisizione e sulle peculiarità storico-artistiche
della Villa, ma anche alcune iniziative per sollecitare l’attenzione
e la generosità del pubblico sul capolavoro di Giovanni Maria
Falconetto e poter così iniziare presto gli interventi di restauro. Grande
e illuminato fu il restauro cui la sottopose Vittorio Olcese, scomparso
nel 1999, che tra le arcate della villa e la tranquillità della
campagna euganea trovava «rifugio» dalla sua intensa attività
imprenditoriale e politica, e la moglie Maria Teresa
Valori operarono nella villa negli anni Sessanta (!)ndr)
con il contributo e la supervisione dell’Ente Ville Venete: pittori,
affrescatori, stuccatori, maestri della pietra, del marmo, dei vetri
e dei giochi d’acqua lavorarono lungamente per sollevare dalla rovina
operata dal tempo gli splendori architettonici della villa. Un’operazione
che nel 1969 consegnò agli Olcese (a
Giuliana e Vittorio Olcese,ndr) il premio internazionale
al miglior restauro di un monumento storico-artistico
attribuito dall’Associazione Architetti USA e che ancora oggi, alla
luce della successiva rinascenza della cultura del restauro e dei traguardi
raggiunti dalle tecniche conservative, concede di ammirare tanto il
sito, quanto il rispetto con cui i suoi proprietari lo hanno conservato. Una
sensibilità ed un’affezione espressa anche con la disponibilità
a fare della villa sede di convegni, mostre e che ora Maria Tersa Valori-Olcese
il figlio Pierpaolo hanno voluto ribadire donando al Fai la villa e
persino l’arredamento (arredamento non donato al FAI,ndr)
che, coerentemente, è stato raccolto con opportune ricerche nel
mercato dell’antiquariato. Dopo essere stata sede di villeggiatura
di alti prelati e casa di campagna della celebre famiglia milanese,
Villa dei Vescovi si prepara - dopo i necessari restauri - ad una vita
pubblica, a diventare meta turistica per circa 25-30.000 visitatori
ogni anno, stando alle stime del Fai (sempre cauti nel valutare i numeri
che riguardano le loro iniziative), che prevede di sensibilizzare soprattutto
il turismo termale. Chissà se il flusso disturberà il
verde e silenzioso abbraccio delle strette stradine dei colli e la pace
del vicino eremo camaldolese di Monte Rua. O il pubblico sensibile all’arte
saprà anche essere sensibile e rispettoso nei confronti del paesaggio
e della sua quiete... - Marina Grasso
|
Sembra che il Fai si sia ricordato di essere il Fai. Vi ricordate
l'allarme che correva sotterraneo da più parti e apparso anche
su queste pagine, a proposito di Villa dei Vescovi a Luvigliano? Il
palazzo archetipo della villa veneta, l'edificio che incarna
"la perfetta armonia tra natura e arte"? Proprio quello,
che si adagia su un colle per vedere ed essere visto, un
segno del Rinascimento calato tra il verde degli Euganei e incastonato
dai vigneti del suo brolo: beh, l'idea era di farne
un ristorante à la page. Mettere sotto il naso dei
padovani blasé, dei tedeschi delle terme, dei turisti
culturali l'occasione di una cena tra le mura cinquecentesche che
avevano accolto i passi e i pensieri del suo committente Nicolò
Pisani episcopus patavinus, e della cerchia degli umanisti del suo tempo. Ma
Villa dei Vescovi è un monumento tornato (faticosamente) a vivere
da una cinquantina d'anni, e ha ripreso a pieno titolo il posto che
gli compete nella storia dell'architettura, nelle cronache di una cultura
lunga più dei cinque secoli della sua vita. Un bene da non
buttare in pasto: nemmeno se lo chef è raffinato e le tovaglie
sono di lino. Sembra che il Fai si sia ricordato di essere il Fai. Ha
fatto marcia indietro. Dopo una riunione, proprio a Villa dei Vescovi,
con il comitato scientifico, il progetto di ristorante ripiega su una
più modesta e necessaria caffetteria con qualche tavolo di ristoro.
Che non resterà aperta la sera, quando la villa sarà chiusa. Cadono
anche alcuni degli interventi di "restauro" che più
destavano perplessità: non si farà più l'ascensore
che nel progetto collegava il piano terra al sottotetto (passando in
un vano affrescato...(!)ndr),
per dare accesso diretto agli appartamenti da trasformare in suites.(!)ndr). Non
si faranno più i due bagni di servizio a queste ultime. E sub
iudice sono anche quelle quattro grondaie che agli angoli del palazzo
avrebbero fortemente disturbato la lettura dell'architettura
di Giovanni Falconetto. Il passaggio dalla vita privata della famiglia
Olcese, che ha donato la Villa al Fai, a quella più pubblica
dei futuri ospiti è sicuramente più soft. Adesso si può
parlare di restituzione, e non di stravolgimento e di sfruttamento.
Ma vediamo com'è successo. LE PREMESSE. Villa
dei Vescovi viene donata (donata?
diciamo piuttosto venduta a buon prezzo,ndr)
da Maria Teresa Olcese Valoti, vedova di Vittorio, e dal figlio Pier
Paolo il 28 gennaio 2005. L'edificio è sostanzialmente in buone
condizioni, anche se gli interventi succedutisi dal
1964(..ndr) ne hanno modificato, a
volte pesantemente, l'originalità. L'accordo
prevede che la famiglia Olcese continui ad abitare una delle barchesse,
da ristrutturare a spese del Fai. Costo:
500.000 euro.
(quindi il FAI l'ha pagata 500.000
euro, NON è STATA
PROPRIO UNA DONAZIONE ndr). Il
Fai accetta e pensa in grande. Il palazzo è un must, aggiunge
lustro alla prestigiosa lista delle proprietà del Fondo, nel
cuore di quel Nordest dove il Fai possiede un castello (quello di Avio)
ma non una villa. E questa, come si sa, è terra in cui la civiltà
della villa è nata. L'idea
del ristorante nasce subito. Ma in un primo tempo nasce meglio:
si pensa di sistemare tavoli e cucine in una delle due barchesse. Un
progetto compatibile e onesto. Ma impraticabile per due motivi:
la barchessa ospita con decoro l'enoteca e punto vendita Vignalta, la
stessa azienda che ha in affitto e coltiva mirabilmente il vigneto nel
brolo della villa. Non poteva essere sfrattata. E la contessa
Olcese aveva chiesto che sul giardino interno davanti alla sua barchessa
non potessero scorrazzare le folle dei ristorati. Obiezione accolta
dal Fai, che ha pensato di utilizzare per il ristorante il piano terra
della villa, con modificazioni che a seconda dei punti di vista erano
il minimo oppure eccessive. IL PROGETTO. Nasce così, curato
dall'architetto Christian Campanella, un progetto complessivo, che parte
dall'analisi dello stato di fatto, per approdare infine alla proposta
di modifiche. Un progetto accurato, puntiglioso, che per prima cosa
ha dovuto considerare lo stato dei luoghi. Già negli anni Sessanta
c'erano state svariate manomissioni: i pavimenti alzati per sistemarvi
sotto il riscaldamento ad aria, un vano scale reinventato, e più
avanti negli anni addirittura una grande scala di collegamento interno
per accedere al piano nobile. Lasciare così o riportare alla
condizione primigenia? Ma quale condizione primigenia, visto che
nei secoli molti sono stati gli interventi, a cominciare da quello della
copertura dell'impluvium previsto dal Falconetto (che progettò
una villa romana, in pieno spirito umanistico) per continuare con le
scalinate esterne aggiunte poi? Giustamente, l'architetto Campanella
ha deciso, assieme alla Soprintendenza, di mantenere l'edificio così
com'è arrivato fino a noi. Con la sua storia, fatta di giusto
ed ingiusto, di bello e di utile. Tutto sommato, non si può
cancellare la vita di un edificio. LE PERPLESSITÀ. A progetto
ultimato, il Fai ha ottenuto il nulla osta dalla Soprintendenza, firmato
da Guglielmo Monti. Il piano di intervento (quattro milioni di euro
in totale) è stato presentato pubblicamente, durante
una cerimonia che ha privilegiato gli aspetti
mediatici a quelli tecnici. A questo punto, dopo l'"assaggio"
del progetto, hanno cominciato a circolare precise preoccupazioni tra
i membri del Comitato Scientifico. Che non avevano ancora potuto vedere
le tavole dell'architetto Campanella: (MENTRE ADESSO NON SI SONO VISTI
I LUCIDI DI LUCIANI ndr). C’è stata una riunione decisiva
il 24 aprile scorso. Il direttore generale del Fai, Marco Magnifico,
e i progettisti, di fronte al Comitato Scientifico. Una discussione
serrata, un confronto occhi negli occhi. Tutti combattivi: da Guido
Beltramini a Domenico Luciani, i più determinati, con il sostegno
forte di Elisabetta Saccomani, Vincenzo Mancini e monsignor Andrea Nante. Più
elastica la posizione di Gianni Golin. Il confronto è stato vero.
E' li che il Fai ha capito, e va dato atto che l'ha fatto velocemente.
Ha capito che il profilo culturale doveva prevalere su quello, peraltro
fondamentale, di una gestione economica possibile. Ha capito che il
Fondo viene visto come entità di tutela, come pietra angolare
del rispetto degli interventi: e che non potevano esserci sbavature. Ha
capito che andava evitato il rischio che Villa dei Vescovi, al di là
delle volontà, si trasformasse in Ristorante dei Vescovi, subordinando
il fascino e l'importanza del monumento ad un pur prestigioso epicureismo. IL
DOCUMENTO. Così da quella riunione è uscito un documento
sottoscritto dal Fai e da tutti i componenti del Comitato Scientifico. Ecco
i passaggi più importanti: "La riunione ha favorito
l'emergere di un pieno accordo sulle tematiche specifiche del restauro
dell'edificio e delle sue valenze architettoniche e artistiche, dall'altro
ha messo in luce la necessità di riconsiderare alcuni aspetti
legati alla rifunzionalizzazione del bene. In particolare, si è
convenuto che alcuni interventi programmati non fossero del tutto indispensabili
all'utilizzo del monumento e anzi, potessero prestarsi a dare dell'intervento
un'immagine troppo invasiva". Seguono le indicazioni già
descritte: addio ascensore, addio bagni e addio orario serale della
caffetteria-ristoro. E ancora: "Tali decisioni sono state ispirate
anche dalla volontà emersa chiaramente e con condivisione durante
il confronto con il Comitato Scientifico, di comunicare un criterio
di intervento il più possibile misurato, contenuto e di "buon
senso"". Comunque, meglio essere come san Tommaso. CHI
C’È NEL COMITATO SCIENTIFICO Il Comitato Scientifico che
ha fatto sentire la propria presenza in modo così deciso è
composto da Guido Beltramini, direttore del Centro Internazionale
di Studi Andrea Palladio di Vicenza; da Gianni Golin, direttore dell’Arpai
di Vicenza; da Elisabetta Saccomanni, docente di Storia dell’Arte Moderna
all’Università degli Studi di Padova, da Vincenzo Mancini, che
lavora con la Fondazione Cini e l’Università di Padova, da Andrea
Nante, direttore del Museo Diocesiano di Padova. Del Comitato faceva
parte anche l’architetto Domenico Luciani, che peraltro ha ricevuto
l’incarico per la salvaguardia e valorizzazione degli spazi aperti contestuali
a Villa dei Vescovi: ha deciso quindi di uscirne per non trovarsi nella
posizione di controllore-controllato. Le competenze. Beltramini è
ovviamente un esperto di architettura del Cinquecento, Golin si occupa
di tutela delle fabbriche antiche, Saccomanni e Mancini sono i superesperti
di Sustris, il pittore che ha affrescato la Villa; infine Andrea Nante
conosce le dinamiche culturali dell’Umanesimo padovano. IL NULLAOSTA
DELLA SOPRINTENDENZA La Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici
non ha dato il nulla osta a cuor leggero: più di cento
tavole di progetto da esaminare, sopralluoghi, riflessioni. Alla fine
l'o.k. è stato dato al piano generale, non senza aver cassato
l'idea
balzana di ospitare un parcheggio nel brolo (sul punto,
mea culpa del Fai). Ma su alcune questioni tecniche, la Soprintendenza
ha imposto prescrizioni precise e ulteriori approfondimenti. Per esempio,
aveva detto di spostare l'ascensore da molti incriminato. Non e d'accordo
sulle grondaie che dovrebbero sostituire i doccioni. Insomma, un lavoro
certosino che è tuttora un work in progress. IL DIRETTORE:
"CONTROLLI PERIODICI SUI LAVORI" Per Marco Magnifico, direttore
generale culturale del Fai, "era quello che volevamo tutti".
E continua: "Forse c'è stata qualche incertezza di comunicazione
nei confronti del Comitato Scientifico, ma adesso ci siamo parlati e
la condivisione è totale". Anche se in una lettera all'istituto
Ville venete scrivevate che le preoccupazioni erano tutte balle. (Già,
come dicono adesso a Giuliana D'Olcese,
diffidata dal FAI per aver usato dei toni un po’ forti, parlando di SCEMPIO
ndr). Poi avete deciso
un rapido "ripensamento"... "Guardi, al di
là dei particolari tecnici, quello di cui ci siamo resi conto
è che al Fai si guarda come ad un'entità seria e autorevole.
E' stata un'enorme soddisfazione cogliere questo aspetto, anche nella
sua deriva che ci ha posto dei limiti. In fondo, noi siamo di esempio,
non possiamo sbagliare e non possiamo nemmeno osare troppo. E' stata
anche la consapevolezza di questo aspetto che ci ha fatto riconsiderare
tutta la questione". Non cambia la finalità di
aver acquisito (..ndr) Villa dei Vescovi. "Assolutamente
no. Vogliamo aprirla al pubblico, farla conoscere. Ora abbiamo capito
la misura. Ma è fondamentale che tutti comprendano che esiste
anche un problema gestione: noi combattiamo con il bilancio ogni anno,
anche se nel 2006 siamo riusciti ad avere trentamila euro di attivo... Un
edificio come Villa dei Vescovi per sopravvivere ed essere a disposizione
del pubblico deve anche avere delle entrate: questo è solo un
corretto principio di gestione. E perchè l'architettura sia
viva, occorre che sia percorsa da persone che la facciano vivere. Il
Fai avrebbe potuto rifiutare la donazione: rifiutiamo il novanta per
cento di quanto ci viene proposto, proprio perchè non sussistono
presupposti decenti di gestione. (se non ci possono
lucrare scartano i beni, alla faccia dell'amore per l'arte!!) Villa
dei Vescovi è importante, è unica, e può funzionare". Senza
aprire il ristoro alla sera. "Certo, sarà più
difficile trovare un gestore, sarebbe stato più appetibile offrire
un servizio anche la sera. Ma ci siamo convinti. D'altra parte i
costi di gestione possono essere contenuti: in fin dei conti c'è
il custode con la sua casa, ma la manutenzione del vigneto è
di Vignalta. Abbiamo rimosso degli ostacoli di comprensione, ora si
parte". Quando? "Ai primi di maggio (maggio 2007ndr) verrà aperto
il cantiere. Siamo già d'accordo con il Comitato Scientifico
per una serie di riunioni periodiche, presente anche la Soprintendenza,
per monitorare congiuntamente il procedere dei lavori e concordare eventuali
modifiche che si rendessero necessarie dall'emergere nel corso dei lavori
di nuovi dati oggettivi".
|