Su Vittorio Olcese Dichiarazione Ripugnante
del FAI. Ripugnante, sconcertante ed oltre Sulla nota questione distruzione del brolo Rinascimentale di Andrea
da Valle a Villa dei Vescovi, progetto del FAI cui l'ha donata
mio ex marito Vittorio Olcese, ora defunto, e dell'architetto
Domenico Luciani, allego la rettifica inviata All'attenzione
di Paolo COLTRO caporedattore Il Mattino di Padova e p.c, a Presidente
Commissione Cultura Provincia di Padova / Presidente Commissione
Comune di Padova
Su Vittorio Olcese Dichiarazione Ripugnante
del FAI. Ripugnante, sconcertante ed oltre Gentile Paolo
Coltro, non abito nel Veneto, quindi non ho possibilità di
trovare in edicola Il Mattino di Padova ma ho letto i due suoi articoli
odierni su file. Per stima, e rispetto deontologico verso un collega,
devo purtroppo rettificare alcune prime (tra parecchie) inesattezze
e quindi disinformazione personale, rilevate nei suoi due articoli pubblicati
oggi sulla questione "brolo di Villa dei Vescovi-FAI". Intanto,
vorrei pubblicasse la mia rettifica su un punto decisivo ai fini della
veridicità di quanto sostengo da alcuni lunghi mesi: la pubblicità
del FAI per la vendita delle pietre di trachite (FINO
AD OGGI CIRCA 200 VENDUTE) non è avvenuta (come lei scrive)
soltanto sul sito internet del FAI, ma sopratutto con ripetute
pagine riportanti le immagini del progetto di Domenico Luciani,
articoli, cartoline, didascalie, ecc. ecc.,
pubblicate sul Notiziario trimestrale cartaceo del FAI, Notiziari
che riceviamo noi Soci Sostenitori. Sul
Notiziario Dicembre 2009 - Gennaio - Febbraio 2010, e sul Notiziario
Marzo - Aprile - Maggio 2010, cioè per ben sette mesi. Questa
prima rettifica è fondamentale per stabilire molti eventi accaduti,
purtroppo, proprio al riguardo delle invocate (anche da lei) trasparenze
da parte del FAI. Forse, la fonte più idonea a chiarire
trasparentissimamente "l'affaire brolo di Villa dei Vescovi-FAI",
è il sito da me voluto assieme ad alcuni amici miei e di Vittorio
Olcese, amici in vita. Il sito contiene la storia fin dal giorno
in cui è, purtroppo, iniziata: dal
3 Gennaio 2010 allorquando ho ricevuto il Notiziario Dicembre 2009 -
Gennaio -Febbraio 2010, poi l'altro, Marzo - Aprile - Maggio 2010. La
prego di consultare Villa
dei Vescovi ove, tra gli altri e in ordine temporale, troverà
anche l'ultimo (il primo titolo) aggiornamento contenente un suo articolo
del 2007 estremamente veritiero e critico.
Comprese tutte le immagini, inoppugnabili, ingrandibili e con
didascalie, e la rassegna stampa fino ad ieri. Quando pubblicherò
i suoi due articoli di oggi, spero prestissimo, e non da tromba stonata,
sotto ogni riga da rettificare e precisare sottoscriverò ciascuna
rettifica, basata su veritiera documentazione, non su chiacchiere
salottiere e menzognere. Devo dirle, con immenso accoramento
e dolore, che il FAI, ancora una volta, ha usato la menzogna
approfittando, perfino, del silenzio forzato di una persona ormai
defunta: Vittorio Olcese che, tra l'altro, è
il donatore di Villa dei Vescovi al FAI. Da defunto, infatti,
è inascoltabile. Ed è questo l'atto di vigliaccheria
più grande che ci sia. Questo particolare dichiarato dal FAI,
immagino da Luciani o da Magnifico è ripugnante: Che il progetto
pubblicizzato dal FAI di Domenico Luciani, fosse
il progetto voluto da Vittorio Olcese nel nostro restauro del 1963,
è una dichiarazione Ripugnante. Ripugnante, sconcertante,
ed oltre. So bene quali furono i progetti e i gusti di Vittorio
Olcese e miei, mai un uomo della sua cultura avrebbe manomesso, distrutto
e pavimentato il brolo di Andrea da Valle. Questa ennesima falsità,
ripeto falsità ripugnante, e sconcertante, il FAI
se la dovrà rimangiare perchè, vede caro Coltro, sono
una persona che parla se minutamente documentata, quindi in una botte
di ferro, non come una tromba stonata. La ringrazio per l'attenzione,
la saluto cordialmente, sperando di vedere pubblicata, per ora, questa
fondamentale rettifica. Giuliana D'Olcese de Cesare Villa
dei Vescovi
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LUVIGLIANO. Il progetto finora l’hanno visto in pochi, ma
ne stanno parlando in tanti, tantissimi. Come sarà il brolo di
Villa dei Vescovi a Luvigliano? Tra idee, anticipazioni, fughe di
notizie, immagini improvvide, fantasticherie e deduzioni s’è
scatenata una bagarre dalla quale ’sto benedetto brolo, lì
tranquillo da cinque secoli, esce mediaticamente terremotato.
Quello che manca, nell’incrociarsi di accuse, smentite, difese e contrattacchi,
è la chiarezza. Proviamo
a riportare la questione nei suoi termini reali, per quanto possibile.
In attesa di questa mattina, quando i vertici del Fai, Fondo Ambiente
italiano, e il progettista della risistemazione del brolo, l’architetto
Domenico Luciani saranno a Luvigliano per spiegare alla commisione cultura
della provincia le loro intenzioni. Ma probabilmente senza mostrare
i progetti. Perché, dicono, è la Soprintendenza che
deve vederli per prima, come da procedura e da savoir faire. Resta
il fatto che Villa dei Vescovi, con il suo brolo annesso e soprattutto
il suo destino che si avvicina a grandi passi, non è un
affare privato. Come anche il Fai dovrebbe volere,
lo splendido edificio è un simbolo: l’unica proprietà
che il Fondo possiede nel Veneto dovrà svolgere quella funzione
educativa che è alla base della stessa esistenza del Fai. Talmente
vera, questa intima natura pubblica del bene, che lo stesso Fai si è
rivolto e si rivolge al pubblico per ottenere un sostegno economico,
sottintendendo il concetto di una proprietà diffusa, di una fruizione
larga, di un patrimonio culturale condiviso. Così almeno intendiamo
noi. Ma questi non sono giorni di alti dibattiti e confronto sui concetti.
Oggi è il tempo dei veleni incrociati, di una vera e propria
battaglia che spicca per una caratteristica paradossale: sono coltellate
tra ambientalisti, tra difensori del paesaggio, tra puristi della filologia.
Proviamo a vedere dove non c’è chiarezza. Il
progetto di risistemazione del brolo è stato steso dall’architetto
Domenico Luciani. Il Fai l’ha
visto ma, assicura, non l’ha
approvato, nemmeno in sede interna, perché
aspetta il parere della Soprintendenza. Il
progetto però ha avuto il sì del Comitato Scientifico
che fin dall’inizio (e non senza contrasti) ha seguito
i lavori di restauro a Villa dei Vescovi. In un primo incontro,
la Soprintendente Sabina Ferrari, a detta del Fai, ha dimostrato
apertura e atteggiamento positivo. Seguiranno altri incontri, più
concreti. Stamattina alla commissione provinciale cultura,
che tanto s’è allarmata, e alla stampa non verranno
messi sotto gli occhi i lucidi di Luciani. Verrà piuttosto
spiegato tutto il lavoro di ricerca storica e ambientale che ha portato
alla stesura del progetto. Perché, dice l’architetto Luciani,
c’è un percorso di indagine che ha portato alle idee finali,
e questo si deve sapere. Il fatto è che tutti si sono buttati
su quel che è trapelato di queste idee finali, il che si concentra
in un unico fondamentale problema: sarà ricoperta di trachite
quella parte del brolo che costituisce l’accesso alla villa? E’
questa la questione centrale, sulla quale c’è lo scontro
in atto. Non si tratta di sminuire o esagerare, né di
sbudellarsi a vari livelli. Semplicemente c’è da discutere sulla
legittimità -storica, formale, estetica-
dell’intervento. Le due posizioni sono: «Il
brolo verrà cementificato» (trombe suonate dal Giuliana
de Cesare, prima moglie di Vittorio Olcese, allora proprietario della
villa) e «lo sciocchezzaio del brolo cementificato» (Domenico
Luciani). Certo è che il Fai non ha fatto un favore a se stesso
lanciando, in gennaio, sul suo sito
la campagna «adotta una lastra di trachite»,
il vero campanello d’allarme di tutta la faccenda. Il
punto non è che con 200 euro si poteva ottenere l’incisione delle
proprie iniziali su quel tassello di pietra, sfruttando l’inane ambizione
all’immortalità dei sottoscrittori. Il punto è che
quella campagna svelava, prima del progetto, prima delle discussioni,
prima delle approvazioni, quale sarebbe stata la trasformazione del
brolo. L’immagine che pubblichiamo in questa pagina è tratta
dal sito del Fai. E le sottoscrizioni arrivano:
già duecento, a
tutt’oggi. Il
Fai ha spiegato (dopo le critiche)
che quell’immagine risale al 1963,
era l’idea di restauro dell’intervento di Vittorio
Olcese e non rispecchiava l’assetto
cinquecentesco disegnato da Andrea da Valle, per
il semplicissimo motivo che non ci è pervenuto alcun documento
su quell’assetto. Bene:
ma allora perché improvvisamente mettere quell’immagine fuorviante? Altre
domande sorgono spontanee: ma allora,
cos’è
stato pensato, cos’è
stato approvato e soprattutto, cosa
vuole fare il Fai? Siamo in grado di anticipare qualche
dato: il parterre è stato previsto, lungo l’asse di accesso
alla villa. Quella porzione di brolo è di 1600 metri quadrati.
Il Fai vuole adattarne una parte per poter tenere concerti e manifestazioni,
e ha previsto una superficie lastricata di 400 metri quadrati. Dopo
il primo incontro con la Soprintendenza, lunedì scorso, sono
già intervenute delle variazioni: primo. Il parterre non sarà
centrale, ma piuttosto di lato. Secondo, la Soprintendenza vorrebbe
fosse più contenuto, diciamo 300 metri quadrati. E non è
neppure sicuro che venga adoperata la trachite: per esempio, la Soprintendenza
potrebbe suggerire il cotto. Questi sono i primi dati certi sul progetto,
e non è detto che possano cambiare ancora. Certo è
che sarebbe meglio ragionare su misure precise e interventi conosciuti,
per evitare nuvole fumogene. La chiarezza dissipa tutto. Un bene
Fai lo diventa per essere aperto al pubblico, molto pubblico:
deve anche possibilmente mantenersi, e Marco Magnifico, direttore
culturale del Fondo, auspica e prevede che a Villa dei Vescovi arrivino,
da marzo 2011 in poi, tra le venti e le trentamila persone l’anno. Il
messaggio coniato dai nuovi proprietari per attrarre visitatori a Luvigliano
è che la villa deve tornare ad essere quello che forse è
stata per il vescovo Pisani a suo tempo: un pensatoio. Si pensa in mezzo
ai quattro quarti del brolo, si pensa all’ombra delle logge, si pensa
nelle fresche stanze affrescate da Lamberto Sustris. Per
corroborare i pensieri e lasciar giù qualche euro, ecco una
buvette, magari un ristorantino che prolunghi nel corpo il piacere del
cervello. E fin qui va bene. A patto, come questo giornale scriveva
fin dal 2007, che il ristorante non si sostituisca, nella percezione
pubblica, alla villa, alla storia, alla cultura. Non vanno bene cinquecento
coperti, perché arriverebbero duecentocinquanta macchine, da
sistemare da qualche parte: arduo, tra viottoli e stradine. E se qualcuno
volesse affittare la villa per un matrimonio? Si può fare, non
è una bestemmia: ricordandosi che uno spazio non è una
piazza inventata di sana pianta. Si tratta di conciliare il rispetto
dell’esistente e la sua storia con misurate esigenze moderne, comprese
quelle di mantenimento del bene. La linea dell’equilibrio è quello
che ci si aspetta dal Fai: le cui benemerenze passate sono indiscutibili,
ma che va aiutato a realizzarle anche nel presente. La
chiarezza e la trasparenza sono necessarie, unico viatico alla
condivisione. Per chi può e deve decidere (Fai, Soprintendenza).
Ma anche per chi può pensare e vuole farsi un’idea. Il Fai interviene
su valori assoluti, quindi su valori comuni. Non pensiamo voglia farlo
erga omnes. Speriamo lo farà coram populo. Paolo
Coltro
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LUVIGLIANO. Il muro che corre per quattro lati è lungo un
chilometro. Racchiude quasi sei ettari di terreno. Come brolo, ovvero
giardino coltivato, niente male. Se il blocco architettonico di Villa dei Vescovi è sopraelevato
su una collinetta, il brolo ne accompagna l’elevazione, da tutti i lati,
è il piedistallo naturale, la natura governata da cui scaturisce
l’architettura. In più, rende
un unicum il luogo abitato, distinguendolo dalla campagna circostante,
e distinguendo anche la funzione di quel terreno recintato. Che è un orto-giardino: ovvero vi si coltivavano piante utili
che avevano anche una funzione decorativa. Il brolo è ben identificato,
ha una sua storia sulla quale l’architetto Domenico Luciani ha speso
giorni e mesi di ricerche. Per capire cosa fare e come. Un lavoro che,
in mancanza di fonti dirette e precise (leggi: disegni cinquecenteschi
o più tardi) è passato per la corrispondenza tra il vescovo
Francesco Pisani ed Alvise Cornaro, l’umanista chiamato a fare l’amministratore
di quei possedimenti ecclesiastici. E’ un momento cruciale della Rinascenza:
un vescovo affida la gestione delle campagne, ma con Cornaro l’agricoltura
è vista positivamente. Dobbiamo pensare che all’epoca la città
era il paradiso: lì commerci, arte, vita pubblica; lì
mura che volevano dire sicurezza. Il Rinascimento dà dignità
alla campagna. «Santa agricoltura» la chiama Cornaro, mentre
dispone bonifiche e divide i contadini per gruppi sugli appezzamenti.
S’incrociano due idee: quella del mondo classico, di Vitruvio, dell’andar
insieme di utilità e bellezza; e quella d’impresa, di valore
economico, tipica di una società in accelerazione. L’architetto
Luciani ha speso tempo su nomi e misure, le chiavi di volta per riprendere
conoscenza del luogo e delle idee che l’hanno governato. Per esempio:
si chiama Villa dei Vescovi, ma in realtà è un palazzo,
e la villa (villaggio) era la contrada di Luvigliano. Vuol dire: perché
diversa è la funzione, reale e simbolica, rispetto alle ville
più tarde. Il palazzo è dei vescovi, in fondo oltre che
buen retiro vuol dire potere: si deve vedere da chilometri di distanza,
e così è. Luciani ha girato e girato, facendo una mappa
dei punti da cui si può scorgere. Dice: «Si può
individuare una trigonometria percettiva del territorio: da questo verso
il palazzo e viceversa. Dalle logge si coglie quanto devi vedere l’intorno».
Non sono ricerche senza conseguenze. La “visione” può
voler dire sottrazioni, come le chiama con pudore Luciani, necessarie
per la leggibilità dell’insieme. Tradotto, vuol dire che sull'altare
della filologia potrebbero essere sacrificati degli alberi che da un
paio di generazioni tutti sono abituati a vedere. Per questo l’architetto
vuole spiegare, farsi capire. Dopo di che, tutto si può fare
e discutere, ma avendo le idee chiare. Poiché da sempre Luciani
non può essere definito un iconoclasta del verde, anzi, c’è
tempo e motivo per ascoltarlo. L’impressione è che la bagarre
di questi ultimi tempi non si combini granché con il suo essere
studioso. Ma forse non si combinano granché con questa sua qualità
alcune espressioni che girano in casa Fai, come «metamorfosi d’uso»
ed «esigenze gestionali». L’architetto si trova in mezzo
tra potere decisionale e percezione esterna. Un posto scomodo. Lui taglia
corto: «A me interessa l’essenziale». Adesso tocca alla
Soprintendenza. Vedremo se sarà una storia di compromessi. (p.c.)
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