«'Giovanni
Testori una vita appassionata' recitava
il titolo di un volumetto dedicato allo scrittore, drammaturgo,
pittore, storico e critico d'arte nato a Novate, alla periferia
di Milano, nel 1923 e scomparso nel 1993. Un interprete 'emotivo'
dell'arte antica e moderna, colta anche nella più flagrante
attualità. Un intellettuale discusso, che ha suscitato scandalo
per la cultura del suo tempo, non molto diversamente da Pasolini. Con
Testori il Mar Museo d'Arte della città di Ravenna
prosegue la sua indagine su figure di primo piano della Storia e
della critica d'arte. 'Miseria e splendore della carne
Testori e la grande pittura europea' ripercorre cinque secoli
di vicende artistiche, dalla fine del Quattrocento ai giorni nostri,
restituendo la complessa vicenda critica di Giovanni Testori. Si
parte dai suoi esordi come allievo di Roberto Longhi, e suo
collaboratore per la fondamentale rassegna sulla pittura di realtà
in Lombardia, che contribuì a far luce sui precedenti del
grande Caravaggio. Ma prima di giungere al Merisi con un
capolavoro come Ragazzo morso da un ramarro, la mostra
offre uno sguardo attento sulle figure che ne preparano l'entrata
in scena, dal Foppa al Moroni, per passare alle opere del Cerano,
dell'amatissimo Tanzio da Varallo e del Cairo. Il Seicento e
il Settecento sono rappresentati da una serie di opere straordinarie
tra cui capolavori di Fra Galgario e Ceruti. Quindi l'Ottocento
francese, con Géricault e con Courbet, per Testori secondo
solo al Caravaggio. Il Novecento prende avvio con i pittori della
'Nuova oggettività' e del realismo espressionista, come Grosz,
Dix, Schlichter, Radzwill, Voll, per toccare i vertici con Giacometti,
Bacon, Sutherland, e Varlin, una 'scoperta' del critico. E senza
trascurare gli italiani: Sironi, Marini, Manzù, fino a giungere
a Guttuso e al pittore amico di una vita, Morlotti, cui l'esposizione
dedica una sezione. Quindi gli anni Ottanta dominati dai 'Nuovi
selvaggi' tedeschi, dal capostipite Hodic a Fetting, Middendorf,
Salomè, e senza trascurare i 'Nuovi ordinatori' Albert, Merkens,
Chevalier. Poi Paladino e Cucchi, rappresentati dalle stesse opere
di cui lo studioso scrisse. Un percorso ricco di altre presenze
eccellenti, da Soutine a Scipione, da Gruber a Vallorz, per dire
solo di alcuni, e con una scelta di ritratti di Testori fra i tantissimi
che diversi artisti gli hanno dedicato».
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Archivio Giuliana D'Olcese de Cesare-)
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Festa in casa Longhi a Firenze
- Dicembre 2009 la Nota di Giuliana D'Olcese de Cesare http://www.villadeivescovi.net/restauro_affreschi.htm (
http://www.villadeivescovi.net/collaudo_restauro.htm )
Giacometti
vide i nostri Bacon e..
TESTORI, IL
RITORNO DELLA PASSIONE Quando il critico provava un amore
collerico per i suoi pittori di
Sebastiano Grasso
«Non esiste, per la bellezza, altra
origine che la ferita» ha scritto Jean Genet (1910-1986).
La frase dell'intellettuale francese fu messa da Giovanni Testori
come incipit di un articolo sul «Corriere della Sera»
(22 dicembre 1991), dedicato a Giacometti. Testori ammirava Genet,
subiva il fascino sinistro di questo scrittore ribelle per antonomasia,
ladro e omosessuale che trascorse parte della sua vita in prigione
dove scrisse i primi versi. Giacometti è uno dei cinquanta
artisti della mostra Miseria e splendore della carne, - curata da
Claudio Spadoni (catalogo Silvana) - la cui apertura è stata
rinviata, per il cattivo tempo, a sabato 18 febbraio al Museo d'arte
di Ravenna (sino al 17 giugno). Ci sono, fra gli altri, Caravaggio
e Foppa, Moroni e Cerano, Tanzio da Varallo e Ceruti, Géricault
e Courbet, Bacon e Sironi, Varlin e Fetting, Soutine e Vallorz.
A quasi vent'anni dalla morte (16 marzo '93) dell'autore dell'Arialda,
non poteva esserci un omaggio più opportuno e intelligente:
la grande pittura europea antica e moderna interpretata da Testori.
Interpretata, appunto. È tutta qui la peculiarità
del critico-scrittore. Anche quando scriveva dei pezzi brevi (si
fa per dire) sul «Corriere», Testori non «recensiva»
una mostra. Questa gli offriva l'occasione perché egli potesse
scrivere un racconto, tessere una tela di rimandi fra arte e letteratura,
nei quali si immedesimava a tal punto da esserne addirittura travolto.
Testori si accostava a un artista come se fosse il proprio vicino
di casa e come solo un innamorato sa fare. Parlando di Morlotti
(«Corriere», 6 luglio '83) scrive: «A noi, morlottiani
innamorati e collerici (come crediamo siano tutti i veri innamorati)
che resta ancora da dire di questo pittore con cui, di tempo in
tempo (…) siamo indotti ad incontrarci?». «Innamorati
e collerici»: tant'è che quando, una volta, Testori
ebbe un grosso litigio con Morlotti, si liberò, per poche
lire, di tutti i quadri (tantissimi) del pittore di Lecco, salvo
poi, passata la buriana, ricomprarli a dieci volte tanto. E qui
sembra che appaia la violenza verbale e non solo, propugnata da
Genet. Davanti alle opere degli artisti amati, Testori provava
una sorta di rapimento, di estasi quasi. Sentite. Parla («Corriere»,
14 giugno '87) della mostra di Brescia dedicata a Giacomo Ceruti,
detto il Pitocchetto (1698-1767): «Difficile, anche per un
cerutiano di lunga, anzi, di lunghissima data, com'è chi
scrive, dar conto dell'emozione che si prova nel rivedere uniti
gli apici del corpus del maestro milanese-bresciano». Occupandosi
di un pittore tedesco contemporaneo, Rainer Fetting (Wilhelmshaven
1949), annota («Corriere», 16 aprile '86): «Un
quadro v'è, in questa mostra milanese, (fin qui ignoto anche
a un fettinghiano come chi scrive) (…) il Saltatore (…). V'è,
in questo corpo, l'ansia d'una bellezza fisica incontenibile (…).
Nel contrasto fra demenza, cenere e furia, la sua pittura scoppia
e deflagra, ora veloce e furibonda, come se fosse fatta di rasoiate,
ora densissima e orgogliosa delle sue medesime porpore, e smeraldi,
e incredibili, pesti ciclamini o viole». Un
Testori «cerutiano», quindi, e un Testori «fettinghiano»:
lo scrittore si identifica in due pittori distanti due secoli e
mezzo fra di loro. In realtà si riconosce in quegli aspetti
dei due artisti che riescono a dargli emozioni, a farlo vibrare. Lo
stesso discorso vale anche per i contemporanei. Testori era attratto
da tutto quello che era disfatto, putrido, decomposto, corrotto,
incenerito, perché da essi (e qui vale la frase iniziale
di Genet, da lui citata) pensava che potesse venire un'ancora di
salvezza, una sorta di riscatto. Si pensi a Francis Bacon: «A
tratti, il memento baconiano parve troppo insistito perché
non autorizzare di venir letto come un enorme, osceno e ustionante
sberleffo (…) lo splendore di quelle labbra che nell'urlo parevano
fissarsi in un'esterrefatta e catastrofica irrisione, e, dentro
le labbra, lo splendore delle gengive, delle chiostre dei denti,
delle lingue corrose e maciullate, dei palati infetti e delle gole,
avide ed ebre come vagine»
(«Corriere», 15 settembre 2001), o a Chaïm Soutine:
«Per
Soutine, avere davanti la realtà era indispensabile (…) per
staccarne, a colpi violenti, la scorza (...) e rivelarne così
suppurazioni e meraviglia, inni e urla che, mescolati in modo inscindibile,
formeranno l'esclamativa esterrefazione, il sigillo della sua bellezza
tragica esaltata e vilipesa»,
(«Corriere», 14 settembre '82). E che dire, poi,
quando in Testori, all'ammirazione si aggiungeva il rapporto personale?
Valgano per tutti gli esempi di Willy Varlin (da lui scoperto) e
Paolo Vallorz. Manca, purtroppo, in quest'ultima schiera, Federica
Galli. E spiace, perché in fondo era stato Testori a coniare
per lei il termine «inciditrice». Che
poi la donna avesse un carattere, come dire?, non facile, e che
non sprizzasse simpatia da tutti i pori, è un'altra cosa.
La sua assenza dà fastidio, anche perché questa è
una mostra degli «innamoramenti» di Testori. E Federica
Galli ne faceva parte.
09-02-2012 - Corriere della Sera, Sebastiano Grasso
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