Dicembre 2009, la nota di Giuliana D'Olcese
de Cesare Celebre, anzi celeberrima, testimoniata
dai più qualificati osservatori del variegato mondo della critica,
è la rivalità tra critici d'arte. Basta ricordare, per
fermarsi al recente Novecento, le diatribe infinite che videro
contrapposti in un eterno duello, nazionale ed internazionale, due tra
i massimi ed autorevoli critici d'arte del tempo: Bernhard Berenson
e Roberto Longhi. La "tradizione", tutta italiana, non
ha risparmiato critici, e affini, cui il FAI Fondo per l'Ambiente
Italiano ha affidato storiografia, analisi, indagini, resoconti critici
e tecnici, e direzione dei lavori sui restauri del ciclo degli affreschi
dipinti nel XVI secolo dal pittore olandese Lambert Sustris nelle
stanze del Piano nobile di Villa
dei Vescovi. Notoria è
l'"inclinazione", detta anche "il vizietto", propria
a critici d'arte e architetti, al "sovrapporre" alla firma
precedente la propria -sovente con sviste epiche che data la scarsa
conoscenza e l'ignoranza generale su materie specifiche, per esempio
pittura, architettura, scienza, ricerca scientifica ecc., non vengono
colte che da pochi sparuti specialisti-. Un esempio storico? Le teorie,
rivelatisi realtà scientifiche, di Galileo Galilei. Infatti,
su qualsivoglia lavoro, riconoscimento, attestato, analisi critica,
restauro architettonico o pittorico approvati da precedenti Sovrintendenze
ai Beni Monumentali e Artistici, da Ministeri per i Beni Artistici e
Monumentali, Istituti del Restauro, autorevoli Fondazioni scientifiche
ad autorevolissimi studiosi della materia, arriva l'esperto, lo specialista
o il critico "del momento" e il lavoro precedente viene spedito
in soffitta. Troppe volte arbitrariamente o per ansia mediatica. E'
il caso, attuale, delle dichiarazioni riportate dal FAI, e rimbalzate
su qualche giornale locale, rese qualche mese fa da Elisabetta Saccomani
docente di Arte moderna all'Università di Padova e consulente
scientifica della restauratrice Pinin Brambilla Barcilon cui
il Fondo per l'Ambiente Italiano ha affidato indagini e restauro degli
affreschi di Villa dei
Vescovi. Con le dichiarazioni sulla
«cattiva qualità, sui pesanti rifacimenti» e sulle
«vecchie ridipinture risalenti agli anni 60», Saccomani
allude a «vecchie ridipinture», non dice antiche. Quindi,
quali già erano e sono tuttora causa l'impossibilità di
interventi pena il peggioramento dello stato degli affreschi. Come
per incanto, e in un sol colpo, è così che Brambilla
Barcilon e Saccomani liquidano il lavoro di restauro e cancellano
la firma del Professor Glauco Tiozzo della Scuola di Restauro dell'Accademia
di Venezia. E con lui i suoi allievi restauratori oltre alla conoscenza,
la cultura, l'esperienza, il rigore di coloro che acquistarono e restaurarono
esemplarmente Villa dei Vescovi, Giuliana e Vittorio Olcese, tanto da
meritare il Primo premio nel mondo per il miglior restauro e l'arredo
di un Monumento d'Arte, il cui attestato è in calce. come
pure il doc originale del «Certificato di Collaudo Restauri
Affreschi» della Soprintendenza ai Monumenti di Venezia condiviso
dall'Ente Ville Venete. Ed ecco quindi la cancellazione in un
sol colpo di attestati e documenti della Sovrintendenza ai Beni Artistici
e Monumentali di Venezia, del Ministero per i Beni Artistici e Monumentali,
dell'Ente Ville Venete -e con questi l'autorevolezza, la cultura specifica
ed il rigore del Presidente Giuseppe Roi - il quale, ben due
volte a settimana, inviava ispettori e sovrintendenti a controllare
che il restauro delle strutture architettoniche e degli affreschi Villa
dei Vescovi non tradissero e venissero
meno alle direttive, le autorizzazioni ed ai permessi discussi, pattuiti,
ottenuti e concessi da ciascun ente a Vittorio e Giuliana Olcese. Infine,
riguardo le «importanti novità sul piano delle indagini
storiche del monumento emerse dal restauro della facciata meridionale
di Villa dei Vescovi», annunciate dall'attuale responsabile scientifico
per gli studi storico-architettonici di Villa
dei Vescovi, Guido Beltramini,
ossia che «l'ipotesi è che le finestre cinquecentesche
erano state tamponate» e che il «dato è molto significativo
perchè avalla con conferme concrete l'ipotesi che la facciata
in origine non presentasse semplici finestre come appare attualmente,
ma fosse invece arricchita da una galleria di cinque arcate, richiamando
così le due ampie logge che si trovano sulle facciate contigue»,
il critico inglese David Carrit - noto internazionalmente anche
per aver scoperto nei depositi di Buchingham Palace dodici dipinti
del celebre pittore veneziano Antonio Canal, detto il Canaletto
- quando fu nostro ospite in villa raccontò a me e Vittorio che
tra le collezioni private della Regina aveva visto alcuni disegni
preparatori di Gian Maria Falconetto con l'impianto del complesso
monumentale, le piante e le facciate di Villa
dei Vescovi. Aggiunse Carrit:
«nei disegni di proprietà della Regina l'architettura esterna
del corpo centrale della vostra bellissima villa era esattamente come
la sto vedendo ora». Quindi, secondo le descrizioni di David
Carrit, lungo la facciata meridionale della villa non correva una
terza loggia o "galleria". E in quanto alla seconda "ipotesi"
Beltramini, secondo cui il «basamento a bugnato»
che ricorda le opere architettoniche «di Giulio Romano, che reduce
dalla realizzazione di Palazzo Te a Mantova, e successo al Falconetto
sul cantiere, si sarebbe occupato ai Vescovi della realizzazione dell'articolato
bugnato che caratterizza il piano terra dell'edificio», l'ipotesi
Beltramini appare incerta e tutta da verificare con dati storici,
scientifici e, magari, confrontando tra loro i disegni della Regina
e le ipotesi.
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Che bello, caro direttore de Bortoli, averli
letti sul Corsera I duelli verbali tra i carissimi amici Padre
Camillo de Piaz e il critico d'arte Giovanni Testori erano
settimanali, un fisso che si svolgeva quando venivano a colazione da
noi nella casa di via Borgospesso a Milano. Leggere sul Corriere della
Sera l'articolo di Padre Camillo è stata una lettura gioiosa
e felicissima, e poi Padre Camillo era un bellissimo uomo, e assieme
ascetico e sanguigno, molto magnetico, e lo era anche Padre Davide
Turoldo entrambi della Corsia dei Servi. Quando Camillo
de Piaz fu colpito dal Sant Uffizio ed esiliato, mi sembra di
ricordare a Varallo, Vittorio Olcese, alcuni amici ed io andavamo a
trovarlo e lui pativa come una grossa ingiustizia il fatto che aveva
dovuto lasciare la sua amatissima Corsia dei Servi. Di lui ho un ricordo
incancellabile tante erano la sua intelligenza, la sua profonda preparazione
e la conoscenza della teologia. Grazie direttore, questi piaceri
dell'anima ce li dia più spesso, quell'era e quel mondo sono
insostituibili e di grande nostalgia. Buon lavoro, Giuliana D'Olcese
de Cesare
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