VILLA DEI VESCOVI

LA VITA IN LOGGIA

Il Gossip d'antan di Bamboccione «dinner party in loggia»

 

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Gossip d'antan

di Bamboccione (22/01/2010 - 22:35)

Peggy Guggenheim, Giuliana d'Olcese, Graham Sutherland

«Biennale d'Arte di Venezia 1968 «dinner party in loggia»
Tra gli ospiti di Villa dei Vescovi, il pittore inglese Graham Sutherland, detto il maestro di Francis Bacon.
Da sinistra: Peggy Guggenheim - collezionista e fondatrice del Museo Guggenheim a Venezia - moglie del pittore Max Ernst, Lord Desmond Guinness, Giuliana Olcese, Graham Sutherland, la contessa Resy di Villahermosa,
il pittore e ceramista inglese Sir Tedy Millington Drake

Il seguito su http://www.villadeivescovi.net/premio_nel_mondo_restodelcarlino.htm

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"Nelle logge con vista sui colli Euganei chiacchieravamo dei sottoboschi .."

di Bamboccione (10/03/2009 - 17:41)

villa dei vescovi logge con vista sui colli Euganei

Sì, «Villa dei Vescovi, un'osmosi continua» dice Giuliana D'Olcese, già Olcese, passeggiando tra i Colli Euganei che avvolgono la splendida creatura cui ha ridato vita nel 1962, la Villa dei Vescovi, Primo Premio nel mondo per l'anno 1968 per il miglior restauro e arredo di un Monumento d'Arte.

Scriveva La Repubblica Venerdì 20 Ottobre 2006

«Acquistata 21 anni fa da Giuliana D'Olcese, la villa è stata ceduta al Fai. Una volta restaurata, dal 2007, verrà aperta al pubblico»

Intervista a Giuliana D'Olcese di Daniela Russo LiberoReporter

 

Luvigliano di Torreglia (Padova) - Giovedì 5 Marzo 2009
«Sì, ha ragione Elisabetta Saccomani, docente di Storia dell'Arte Moderna all'Università di Padova, questa creatura che abbiamo salvato dalla rovina, e che ho abitato per lunghi anni, è realmente una osmosi continua tra la magia che emana questo storico monumento di Giovanni Maria Falconetto ed il fascino del paesaggio incantato dei Colli Euganei. L'intreccio tra paesaggio, interni ed esterni monumentali della Villa dei Vescovi avvolgono in una dimensione magica tutti coloro che girano tra le magnifiche stanze del piano nobile e le logge affrescate dal Sustris, ammirano gli stucchi del Vittoria incastonati tra i timpani delle tre facciate principali e si inoltrano nel gioco architettonico esistente tra i terrazzati e le superbe scalinate, nell'intreccio del brolo con il pozzo in marmo di Verona e i portali monumentali che conducono ai vigneti, ai suoi orti ed al ninfeo disegnati da Andrea della Valle. Via via fino al piano terra con le 'volte a vela' disegnato dal Falconetto assieme al suo allievo diciottenne Andrea Palladio» dice Giuliana D'Olcese che nel 1962, assieme a suo marito Vittorio Olcese, acquistò la Villa dal Vescovo di Padova, Monsignor Bortignon, la restaurò e l'arredò in modo talmente esemplare da meritare, nel 1968, dall'American National Society of Interiors Decorators Foundation, il Primo Premio nel mondo per il miglior restauro ed il miglior arredo di un Monumento d'Arte.
«Sono molto felice - continua Giuliana D'Olcese ammirando la Villa dall'alto di un colle - che dopo che gli ho dedicato tanto amore, tanta parte della mia vita e dei miei sacrifici, questo splendido monumento avviato ad una nuova fatale decadenza, Vittorio l'abbia donato al FAI realizzando così la decisione comune di lasciarlo in eredità allo Stato o ad una Fondazione come il FAI che, ne sono certa, lo conserverà con l'attenzione e l'amore necessari che avrei avuto io stessa».
Signora D'Olcese, le è universalmente riconosciuto il fatto che, oltre ad essere già comproprietaria dell'intero complesso monumentale di Villa dei Vescovi, di averla restaurata anche con il mutuo e la supervisione dell'Ente Ville Venete e con il suo celebre gusto interamente arredata e decorata. Come spiega, allora, che ne' il FAI, ne' la presidente Giulia Maria Mozzoni Crespi, non l'abbiano mai citata negli articoli, nei libri, nelle news letter e sul sito internet del FAI?
E' come se l'avessero cancellata dalla storia della Villa dei Vescovi: Giuliana Olcese? Mai esistita. Eppure tutto il mondo sa che il FAI conosce bene sia lei, sia la grande amicizia che legava lei e Vittorio alla signora Crespi, più volte ospite di entrambi, oltre che a Milano, anche in Villa.
Non le sembra un po' grottesco? Un noir ottocentesco?
«Tutto vero. Vede, in quanto allo staff del FAI, fare informazione è un mestiere che non s'improvvisa.
E' necessaria una rigorosa deontologia professionale che non tutti seguono o osservano. Indispensabili sono rigore professionale, il documentarsi sui fatti così che la narrazione appaia fedele al modo in cui si sono svolti realmente. Oggi, con l'informazione, il rigore sono in pochi ad esercitarlo, si tira via, non c'è il gusto della ricerca, quindi si rischiano dei gran pasticci. In questo caso, però, basta consultare l'archivio della Conservatoria di Padova e si trova tutta la documentazione dei passaggi di proprietà della Villa».
E la presidente del FAI?
«Cosa vuole, Giulia Maria è una persona eccezionale, è l'anima del FAI, ma è gravata da mille responsabilità, da un lavoro davvero incessante. Se dovesse occuparsi anche di comunicati, redazione dei depliants, articoli, internet, news letter e testi dei libri non so se mi spiego... Sono compiti questi che spettano allo staff. Immagino il sangue amaro che si fa Vittorio da lassù; era così orgoglioso, e lo esternava a tutti, del rigore con cui feci restaurare e poi arredai la Villa. E' anche per questo che sono felice di essere intervistata da un giornale nazionale edito a Padova, città che con il Veneto, considero la mia seconda Patria».
Ma se le cronache de La Repubblica l'hanno indicata come già comproprietaria dei Vescovi - proprietaria effettiva, non in quanto moglie di Olcese - quale ritiene sia il motivo del perseverare nel cancellare la sua persona dalla storia della Villa, nel tacere i fatti clamorosi che la riguardano?
Eppure il FAI la conosce bene, lei ne è anche socio sostenitore, ha diramato un appello del FAI a favore dei restauri della Villa.
«Non so cosa pensare, vede, a La Repubblica mi conoscono tutti. Eugenio e Simonetta Scalfari erano nostri amici sin dai tempi in cui, appena sposati, vivevano a Milano. Poi, quando Vittorio fu alla vice presidenza del Consiglio dei ministri nel I° Governo Spadolini, e nel II° vice ministro alla Difesa ed io detti due gran pranzi per lui, ministri e Spadolini compresi, ci siamo felicemente ritrovati tutti a Roma».
A quel tempo, Vittorio Olcese era al secondo matrimonio?
Sì, ma dopo le sfuriate della rottura del nostro matrimonio, eravamo in rapporti idilliaci. Della prima riconciliazione ne fu artefice proprio la nostra amica Giulia Maria Crespi che assieme a due grandi amici comuni, lo scrittore Gianni Testori e Carlo Ripa di Meana, invitò Vittorio e me nella sua casa di Milano e ci pregò di ritornare assieme perchè, disse, «la nostra città non deve perdere una coppia come siete voi due, noi amici vi vogliamo assieme». E, sul momento di andare via tutti e tre ci infilarono nell'ascensore in modo che rimanessimo da soli. Carlo Ripa di Meana se lo ricorda ancora. A Roma, finchè è rimasto in Parlamento - dopodichè lasciò Milano e si stabilì ai Vescovi ove si ammalò - assieme a nostra figlia Carolina ci frequentavamo molto e lui mi raccontava le segrete cose della politica, scandalo della P2 compreso.
Andavamo per musei, gallerie d'arte, case dei comuni amici. E ripensavamo e commentavamo gli eventi che mi avevano condotta a cedergli la mia parte di proprietà dei Vescovi ed alle condizioni, non reali, con cui ne fu redatta la scrittura notarile. Condizioni da me accettate pro bono pacis, per chiudere le questioni ereditarie.
A quei tempi, il diritto di famiglia non era stato ancora riformato. Trascorso del tempo e ritrovatici a Roma, Vittorio mi diceva con infinita tristezza che Villa dei Vescovi nessuno mai l'avrebbe amata e curata quanto me. E' avviata al declino, mi diceva, il nostro capolavoro devo salvarlo. Non avresti dovuto cedermi la tua metà a quelle condizioni capestro, oggi tutto ciò per me è un'angoscia».
Circa la donazione il FAI, per anni, ha diffuso notizie contraddittorie. Una volta la donazione era attribuita a Vittorio Olcese, la volta dopo invece alla vedova ed al figlio Pierpaolo, la volta dopo ancora a Vittorio Olcese e così via. Conosce il motivo di questo giallo nel giallo?
«E' un giallo, infatti. Forse, scambiando esecutori testamentari per donatori, o forse per altri obiettivi, non so. Consideri che per il passaggio di proprietà dei Vescovi al FAI, nostra figlia Carolina ha dovuto firmare. E' lì che ha appreso di essere coerede, tra l'altro, della collezione d'arte tra cui erede di uno splendido quadro di Francis Bacon. E tutto ciò con strascichi legali. Quindi, immagino, che se la Villa fosse stata donata dagli eredi del secondo matrimonio non si sarebbe resa necessaria la firma dell'erede del primo. Lapalissiano no?».
Sua nipote Ilaria de Cesare donerà qualche opera al FAI?
«No, non più. Sa come sono i giovani, orgogliosi fino al midollo, se gli salta la mosca al naso non sono come noi adulti, pazienti, tolleranti. Credo che donerà opere di Martini al Museo di Brera, a Milano. Ilaria e mia sorella Stella infatti hanno trascorso molti anni a Milano ed ai Vescovi con me, Vittorio e Carolina. Penso che i Martini li donerà a Brera in nostra memoria. La sua famiglia, per Ilaria, è sacra e poi mi è molto affezionata».
E lei?
«Intende donazioni al FAI?».
Daniela Russo

VILLA DEI VESCOVI

 LA VITA IN LOGGIA

loggia della villa dei vescovi

VILLA DEI VESCOVI

 LA VITA IN LOGGIA

Villa dei Vescovi

VILLA DEI VESCOVI

 LA VITA IN LOGGIA

villa dei vescovi loggia

VILLA DEI VESCOVI

 LA VITA IN LOGGIA

LA VILLA DEI VESCOVI - L'ODEO CORNARO

Giovanni Maria Falconetto - Alvise Cornaro

odeo

La volta a ombrello è decorata a “grottesche”, motivo decorativo diffusosi a Roma nella prima metà del ... Villa dei Vescovi, 1535 ca. Luvigliano, Padova.
www.itislevi.it/mappa/A_Scuola_in_Villa/Villa%20rete/odeo.html

villa dei vescovi loggia del Cornaro

LOGGIA E ODEO CORNARO

Alvise Cornaro, cultore della Roma antica, appassionato alla letteratura e al teatro, scrittore di agricoltura e idraulica fu anche un teorico di architettura; suo è un originale Trattato di architettura incentrato sul valore funzionale più che sulla forma degli edifici. Tra il 1524 e il 1530 commissiona al veronese Giovanni Maria Falconetto i progetti per l’Odeo e la Loggia della sua casa padovana, realizzando nel Veneto la prima architettura che parla il linguaggio degli antichi.

 

 

Disegno originale di Michele Potocnik, 1999

 

La Loggia, ideata per le rappresentazioni teatrali, riprende la frons scenae stabile di epoca romana: il portico rialzato è scandito da arcate e chiuso da un fondale. Qui, su gradinate temporanee, Alvise e i suoi amici umanisti assistevano alle commedie di Angelo Beolco detto il Ruzante.
L’Odeo, luogo destinato alla musica e alle conversazioni letterarie, presenta una sala ottagonale circondata da vani laterali disposti simmetricamente. La volta a ombrello è decorata a “grottesche”, motivo decorativo diffusosi a Roma nella prima metà del Cinquecento dopo la scoperta della Domus Aurea di Nerone.

 

Giovanni Maria Falconetto
Loggia e Odeo Cornaro
Padova

Odeo Cornaro
Sala ottagonale

 

Dopo il sacco di Roma, compiuto nel 1527 dalle truppe imperiali di Carlo V, «una serie di architetti di formazione romana si installerà nel territorio della Serenissima: Sanmicheli a Verona, Sansovino e Serlio a Venezia. In modi e con esiti diversi, questi uomini danno un contributo fondamentale alla creazione di un nuovo tipo di residenza nelle campagne del Veneto, intervenendo con forme nuove su modelli locali sviluppatisi oramai da quasi un secolo. Le loro storie si intrecciano però con altri protagonisti (i committenti), che architetti non sono, ma che conoscono a fondo la Roma antica […]. Il loro ruolo appare altrettanto cruciale nell’affermarsi della nuova villa nel Veneto, per diverse ragioni. Il desiderio di questi uomini di ricreare in patria i modelli anticheggianti dell’esperienza romana di vita agreste o suburbana, si muove all’interno di una mentalità tutta veneziana che prevede il controllo diretto dei patrizi sull’intervento architettonico. […] Intellettuali sofisticati […] vivono l’esperienza edilizia come una responsabilità, e un divertimento, propri». (Beltramini 2005, p. 55) . Villa Garzoni, edificata intorno al 1540, ripropone la tradizionale facciata del palazzo veneziano - due settori pieni rinserrano il loggiato - ma il linguaggio è “all’antica”, lo stesso utilizzato da Falconetto nei progetti per Alvise Cornaro: la Loggia e la villa dei Vescovi a Luvigliano.

 

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