VILLA DEI VESCOVI

Strabiliante la vittoria sul FAI dunque? No, su 3/4 di "Parterre"

Rincula Magnifico, arretrano FAI, Miss Ferrari, Luciani & Buitoni

impero Benetton, Unicredit, duty free & catering
si "accontentano" di 1/4 di "Parterre"
E la Soprintendenza? Forse, un okkio di riguardo ad Autogrill e al sig. Benetton?

Signor Benetton, giù le mani dal brolo di Andrea da Valle!
Le sembra dignitoso ridursi a un quarto di "Parterre"?

E intanto, Coltro, fa un regalino agli amici della sinistra
Il quarto di "Parterre"? Vittorio Olcese - repubblicano storico - si scompiscerebbe dal ridere

 

Comprendiamo l'ansia del FAI di rientrare dei 500.000 euro sborsati alla vedova Olcese per l'acquisto di Villa dei Vescovi, secondo quanto scritto da Paolo Coltro il 28 Aprile 2007 su Il Mattino di Padova. Dunque, il FAI ha acquistato Villa dei Vescovi dalla vedova Olcese, la villa, quindi, non è stata "donata al FAI da Maria Teresa Olcese seconda moglie di Vittorio Olcese e dal figlio Pierpaolo", come dichiara il FAI.
(Del resto, pare, il mattino di Padova è avvezzo ad attribuire i meriti di Giuliana e Vittorio Olcese, alla vedova Olcese, senza che peraltro "la signora" si sia mai fatta premura di rettificare, contrariamente a quanto accaduto in altri casi.)
Siamo anche consci del sodalizio tra Benetton e l'architetto Luciani già direttore generale della Fondazione Benetton, sodalizio che comporta qualche sacrificio, per gli altri, non per i due sodali. Quindi ci rendiamo conto quanto l'unione degli interessi comuni sia salda e veda tra dipendente ed ex datore di lavoro un patto d'acciaio sui destini di un grosso numero di appalti pubblici, e privati, da assegnare nel Veneto. E fin qua, niente di male. E' così che gira il mondo tra politica & affari. Infatti, conobbi Benetton nella sua casa di Treviso, in occasione della nascita di Alleanza Democratica, detta "la madre dell'Ulivo".
Quando, però, gli affari toccano - sacrificandoli - gli interessi pubblici, la tutela di Monumenti Storici, Beni Culturali - patrimonio di tutti - allora, non ci sta bene.
Quindi, il FAI e la Soprintendenza ai Monumenti Storici, Presidente Sabina Ferrari, dovranno rimangiarsi l'uno "di accontentarsi di 400 metri quadri di lastricato", l'altra, stando all'articolo di Paolo Coltro apparso il 7 Luglio 2010 sul Mattino di Padova, "(ma, come chiede la Soprintendenza, saranno 300 metri quadri)".
Che il FAI abbia tentato il colpaccio di far passare, prima di aver ricevuto i permessi della sovrintendenza, l'intero brolo di Andrea da Valle lastricato da Luciani, è provato dai documenti pubblicati dallo stesso FAI, estratti dai Notiziari trimestrali cartacei del FAI, editi sotto la supervisione del vicepresidente esecutivo Marco Magnifico noto, oramai, tra il mondo accademico veneto come "l'azzeccagarbugli".
Adesso si vuole far passare "IL COLPETTO" antistorico, piazzando nel centro del brolo una piazzola lastricata circondata da siepi alte due metri. Mai vista prima d'ora un'"architettata" di tal portata. Accuse infondate quelle di Giuliana D'Olcese, dunque?
La replica del FAI
"alle accuse infondate di Giuliana de Cesare -come lo scorso Marzo ha dichiarato la Presidente Ilaria Buitoni - di voler cementificare e pavimentare con lastre di trachite il brolo monumentale di Andrea da Valle a Villa dei Vescovi con il progetto dell'architetto Domenico Luciani, replica analoga pubblicata il 7 Luglio sul Corriere del Veneto in una nota di Nicola Munaro, nota che confrontata con l'articolo di Paolo Coltro pubblicato nello stesso giorno su Il Mattino di Padova, induce a qualche - diciamo considerazione - coloro che sono lettori e osservatori attenti dei media. E chi per anni ne ha bazzicato le redazioni.
"Nessuna cementificazione - dice al Corriere del Veneto Marco Magnifico vicepresidente esecutivo, portavoce e supervisore dei Notiziari trimestrali cartacei del FAI - solo abbiamo pensato a una zona in lastricato (!)ndr per ospitare eventi culturali o concerti, per sfruttare al massimo il bellissimo panorama di Villa dei Vescovi".(...).
"A chi sta curando i lavori, l'architetto Domenico Luciani, abbiamo chiesto di realizzare un lastricato di 4oo metri quadrati su un totale di 1600 metri quadri: ovvero un quarto della superficie", continua Magnifico. (...).
Intanto è di ieri la notizia - scrive Nicola Munaro - che l'imprenditore Luciano Benetton ha messo, di tasca sua, 250 mila euro nel restauro della villa che costa 5 milioni di euro. La corte (da notare, non più il brolo, ma la corte) è salva, sostiene il numero due del FAI. Per quel che riguarda il brolo - continua Munaro - le rassicurazioni arrivano dallo stesso Luciani: "E' sempre stato destinato a frutteto, vigna e orti, e così sarà anche in futuro".
Che dire sulla credibilità ed attendibilità delle dichiarazioni dell'architetto Luciani, di Magnifico, dei vertici del FAI?
Che dire, allora, delle pubblicità apparsa sui Notiziari FAI cartacei e via internet susseguitasi per 7 mesi "Adotta una pietra del parterre di Villa dei Vescovi" ?
Che dire, allora, del rincorrersi della versione del progetto commissionato a Domenico Luciani propagandato dal FAI ?
Che dire del progetto e la richiesta di 200 euro ora affannosamente e goffamente rimangiato dal FAI, con cui ai malcapitati ignari soci il Fai ha già piazzato a 200 euro ciascuna 200 pietre di trachite con la promessa che le iniziali di ciascuno verranno incise sulla pietra adottata del "parterre di Villa dei Vescovi" perchè ciascun adottante sia immortalato. E sarebbero queste "le rassicurazioni"? Ma che razza di rassicurazioni sono queste?
A qualcuno sembra rassicurante che a un brolo Rinascimentale, perfettamente simmetrico, venga lastricato un quarto del suo spazio?!
E' rassicurante che a un brolo dalle sublimi proporzioni architettoniche, dal perfetto spazio interrotto da un antico pozzo e tre alberi secolari, delimitato da mura sansovinesche su cui si aprono tre portali a colonne ioniche e timpano decorato con gli stemmi della famiglia del Cardinal Pisani, tra cui lo stemma del Cardinal Francesco Pisani che commissionò il progetto di Villa dei Vescovi a Giovanni Maria Falconetto morto nel 1535, quindi, gli esterni della villa e il brolo ad Andrea da Valle, venga storicamente, architettonicamente e filologicamente stravolto da un quarto di "parterre"?!
Signor Benetton, tutto questo le sembra dignitoso? Le sembra serio che la Fondazione Benetton & e la Fondazione FAI si rendano ridicole nel mondo intero?
Signor Benetton, lei appare come un imprenditore illuminato, come lo fu Vittorio Olcese donatore ideale di Villa dei Vescovi al FAI al quale, siane certo, questo quarto di "parterre" apparirebbe più ancora che grottesco: "da scompisciarsi dalle risa" come soleva dire sulle "pensate insensate di certi architetti".
Lo chieda a Vittorio Gregotti, lo chieda alle buonanime di Ignazio Gardella e di Carlo Caccia Dominioni o dell'architetto Belgioso, o di Marco Zanuso: lo conoscevano bene Vittorio e, commentando assieme "le pensate grottesche di certi architetti", si divertivano a riderne come matti.
Quindi le dico, con fair play, ma decisamente, giù le mani anche dal quarto di "parterre"! Lei e il FAI organizzate eventi nel brolo - una proprietà museale deve rientrare nei costi di gestione - ma organizzateli come Vittorio ed io organizzavamo convegni, concerti, rappresentazioni del Ruzante, matrimoni, feste, sagre del vino e della polenta e osei, mo£eche fritte, garusoli e baccalà, comunioni, battesimi e pesche di beneficenza: affittate quattro pedane di legno e via andare.
Giuliana D'Olcese de Cesare

 

       Il Corriere del Veneto Padova, 7 Luglio 2010

 
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Pubblichiamo il secondo articolo di Paolo Coltro, con i nostri commenti, come promesso a Coltro, apparso su il Mattino di Padova il 7 Luglio 2010, pagina 33, ed un altro articolo, emblematico..., dello stesso autore, apparso su Il Mattino di Padova il 28 Aprile 2007

Ecco la corte dei Vescovi

L’architetto Domenico Luciani ha parlato, ed è finalmente tutto più chiaro. Tema: la sistemazione non del brolo, ma piuttosto della corte antistante l’ingresso di Villa dei Vescovi a Luvigliano, ex Olcese donata al Fai dalla contessa Maria Vittoria, vedova di Vittorio Olcese.
E’ tutto più chiaro, e finalmente le idee di Luciani, la volontà del Fai, gli orientamenti della Soprintendenza possono trovare un terreno di confronto aperto, certo, privo di illazioni e confusioni. Per giorni si era parlato e scritto (sui giornali, su internet, su facebook, perfino negli atti della commissione cultura della provincia) di «cementificazione», «scempio», «distruzione», indicando tra laltro il brolo come oggetto di tanta devastazione.
Ora, il brolo è altra cosa rispetto alla corte (?)ndr.) che costituisce laccesso alla villa. Quasi sei ettari il primo (lo si vede chiaramente qui a fianco nell’immagine da Googleheart), appena 1600 metri quadrati la seconda (corte, non brolo.ndr.): che se proprio si vuole è il cuore costruito del brolo, (?)ndr.) ma non ne ha la funzione di coltivazione di frutti, vigneti, ortaggi, legno da opera. Bene, tutte le disquisizioni (?)ndr.) vertono su come risistemare questi 1600 metri quadrati, e finalmente si hanno le linee guida del progetto di Luciani.
«Fare un prato e basta sarebbe come non fare niente, appiattire, banalizzare»,(!)ndr.) dice il paesaggista incaricato dal Fai con un’unica consegna diciamo vincolante: prevedere una parte (piattaforma) calpestabile per poter ospitare concerti, teatro, altre iniziative. Quattrocento metri quadrati lastricati (ma, come chiede la Soprintendenza, saranno 300) come prolungamento rettangolare del portico d’accesso al palazzo, sul lato di fondo della corte. Lasciando liberi gli altri 1200 definiti da un muro, dalla balconata a nord, dalla casa del custode e “aperti” da tre portali. In mezzo, a parte un pozzo, non sono state trovate tracce di sistemazioni significative, a parte un pozzo dalle origine incerte, che rimarrà. Così come una bella pianta di tasso che movimenta lo spazio.
L’acciottolato che corre lungo la linea assiale sembra non avere motivazioni: difficile (e fonte di rumore) per carrozze(!)ndr). e perfino per umani.
Sparirà.(!)ndr.)
Che mettere al suo posto se un prato sembra soluzione banale?».(!)ndr.) Non ci si crederà, ma gli animi pur pacificati (?!)ndr.) del distinto uditorio (fior di architetti ed esperti: Titti Panajotti di Italia Nostra, Vittorio Dal Piaz, mura di Padova, Patrizio Giulini, botanico, Gianni Sandon, difensore dei Colli) hanno subito fatto scaturire idee diverse, qualche critica, dei distinguo. Esattamente come era auspicabile succedesse.
Nessuno di costoro ha potere decisionale, ma interessano al Fai come mediatori con la comunità, come portatori, per dirla con il direttore culturale del Fai, Marco Magnifico, «di una vera passione per questo bene così fondamentale».(!)ndr.)
Le idee di Luciani prevedono anche il taglio di tre alberi nella corte e di qualche cedro deodara sul lato sud. La notizia non ha provocato svenimenti.
E delle siepi a dare un segno d’ordine: sulla loro altezza il dibattito è diventato quasi filosofico. Assente la commissione cultura della Provincia: giustificata, secondo il suo presidente Domenico Menorello, che però assicura: «nessun tipo di posizione polemica». Assenza clamorosa, secondo il Fai. - Paolo Coltro
http://ricerca.gelocal.it/mattinopadova/archivio/mattinodipadova/2010/07/07

 

LE PREMESSE

Villa dei Vescovi viene donata (donata? diciamo piuttosto venduta a buon prezzo)

da Maria Teresa Olcese Valoti, vedova di Vittorio, e dal figlio Pier Paolo il 28 gennaio 2005. L'edificio è sostanzialmente in buone condizioni, neanche se gli interventi succedutisi dal 1964(..ndr) ne hanno modificato, a volte pesantemente, l'originalità. L'accordo prevede che la famiglia Olcese continui ad abitare una delle barchesse, da ristrutturare a spese del Fai. Costo: 500.000 euro.

(quindi il FAI l'ha pagata 500.000 euro, NON è STATA PROPRIO UNA DONAZIONE)

 

Il Fai accetta e pensa in grande. Il palazzo è un must, aggiunge lustro alla prestigiosa lista delle proprietà del Fondo, nel cuore di quel Nordest dove il Fai possiede un castello (quello di Avio) ma non una villa. E questa, come si sa, è terra in cui la civiltà della villa è nata. L'idea del ristorante nasce subito. Ma in un primo tempo nasce meglio: si pensa di sistemare tavoli e cucine in una delle due barchesse. Un progetto compatibile e onesto. Ma impraticabile per due motivi: la barchessa ospita con decoro l'enoteca e punto vendita Vignalta, la stessa azienda che ha in affitto e coltiva mirabilmente il vigneto nel brolo della villa.
Non poteva essere sfrattata. E la contessa Olcese aveva chiesto che sul giardino interno davanti alla sua barchessa non potessero scorrazzare le folle dei ristorati. Obiezione accolta dal Fai, che ha pensato di utilizzare per il ristorante il piano terra della villa, con modificazioni che a seconda dei punti di vista erano il minimo oppure eccessive.

 

IL RESTAURO A LUVIGLIANO. A VILLA DEI VESCOVI VINCE IL BUON SENSO

Il Fai ripensa il progetto: niente più ascensore, si ridimensiona l'ipotesi ristorante
di Paolo Coltro - Il Mattino di Padova Sabato 28 aprile 2007
http://www.parcocollieuganei.com/upload/pdf/174_aprile16-302007.pdf

 

Sembra che il Fai si sia ricordato di essere il Fai. Vi ricordate l'allarme che correva sotterraneo da più parti e apparso anche su queste pagine, a proposito di Villa dei Vescovi a Luvigliano? Il palazzo archetipo della villa veneta, l'edificio che incarna "la perfetta armonia tra natura e arte"? Proprio quello, che si adagia su un colle per vedere ed essere visto, un segno del Rinascimento calato tra il verde degli Euganei e incastonato dai vigneti del suo brolo: beh, l'idea era di farne un ristorante à la page.
Mettere sotto il naso dei padovani blasé, dei tedeschi delle terme, dei turisti culturali l'occasione di una cena tra le mura cinquecentesche che avevano accolto i passi e i pensieri del suo committente Nicolò Pisani episcopus patavinus, e della cerchia degli umanisti del suo tempo.
Ma Villa dei Vescovi è un monumento tornato (faticosamente) a vivere da una cinquantina d'anni, e ha ripreso a pieno titolo il posto che gli compete nella storia dell'architettura, nelle cronache di una cultura lunga più dei cinque secoli della sua vita. Un bene da non buttare in pasto: nemmeno se lo chef è raffinato e le tovaglie sono di lino. Sembra che il Fai si sia ricordato di essere il Fai. Ha fatto marcia indietro.
Dopo una riunione, proprio a Villa dei Vescovi, con il comitato scientifico, il progetto di ristorante ripiega su una più modesta e necessaria caffetteria con qualche tavolo di ristoro. Che non resterà aperta la sera, quando la villa sarà chiusa.
Cadono anche alcuni degli interventi di "restauro" che più destavano perplessità: non si farà più l'ascensore che nel progetto collegava il piano terra al sottotetto (passando in un vano affrescato...(!)ndr), per dare accesso diretto agli appartamenti da trasformare in suites.(!)ndr).
Non si faranno più i due bagni di servizio a queste ultime. E sub iudice sono anche quelle quattro grondaie che agli angoli del palazzo avrebbero fortemente disturbato la lettura dell'architettura di Giovanni Falconetto. Il passaggio dalla vita privata della famiglia Olcese, che ha donato la Villa al Fai, a quella più pubblica dei futuri ospiti è sicuramente più soft. Adesso si può parlare di restituzione, e non di stravolgimento e di sfruttamento. Ma vediamo com'è successo.
LE PREMESSE.
Villa dei Vescovi viene donata (donata? diciamo piuttosto venduta a buon prezzo ndr) da Maria Teresa Olcese Valoti, vedova di Vittorio, e dal figlio Pier Paolo il 28 gennaio 2005. L'edificio è sostanzialmente in buone condizioni, anche se gli interventi succedutisi dal 1964(..ndr) ne hanno modificato, a volte pesantemente, l'originalità.
L'accordo prevede che la famiglia Olcese continui ad abitare una delle barchesse, da ristrutturare a spese del Fai.
Costo: 500.000 euro. (quindi il FAI l'ha pagata 500.000 euro, NON è STATA PROPRIO UNA DONAZIONE ndr).
Il Fai accetta e pensa in grande. Il palazzo è un must, aggiunge lustro alla prestigiosa lista delle proprietà del Fondo, nel cuore di quel Nordest dove il Fai possiede un castello (quello di Avio) ma non una villa. E questa, come si sa, è terra in cui la civiltà della villa è nata. L'idea del ristorante nasce subito. Ma in un primo tempo nasce meglio: si pensa di sistemare tavoli e cucine in una delle due barchesse. Un progetto compatibile e onesto. Ma impraticabile per due motivi: la barchessa ospita con decoro l'enoteca e punto vendita Vignalta, la stessa azienda che ha in affitto e coltiva mirabilmente il vigneto nel brolo della villa.
Non poteva essere sfrattata. E la contessa Olcese aveva chiesto che sul giardino interno davanti alla sua barchessa non potessero scorrazzare le folle dei ristorati. Obiezione accolta dal Fai, che ha pensato di utilizzare per il ristorante il piano terra della villa, con modificazioni che a seconda dei punti di vista erano il minimo oppure eccessive.
IL PROGETTO.
Nasce così, curato dall'architetto Christian Campanella, un progetto complessivo, che parte dall'analisi dello stato di fatto, per approdare infine alla proposta di modifiche. Un progetto accurato, puntiglioso, che per prima cosa ha dovuto considerare lo stato dei luoghi. Già negli anni Sessanta c'erano state svariate manomissioni: i pavimenti alzati per sistemarvi sotto il riscaldamento ad aria, un vano scale reinventato, e più avanti negli anni addirittura una grande scala di collegamento interno per accedere al piano nobile. Lasciare così o riportare alla condizione primigenia?
Ma quale condizione primigenia, visto che nei secoli molti sono stati gli interventi, a cominciare da quello della copertura dell'impluvium previsto dal Falconetto (che progettò una villa romana, in pieno spirito umanistico) per continuare con le scalinate esterne aggiunte poi? Giustamente, l'architetto Campanella ha deciso, assieme alla Soprintendenza, di mantenere l'edificio così com'è arrivato fino a noi. Con la sua storia, fatta di giusto ed ingiusto, di bello e di utile.
Tutto sommato, non si può cancellare la vita di un edificio.
LE PERPLESSITÀ. A progetto ultimato, il Fai ha ottenuto il nulla osta dalla Soprintendenza, firmato da Guglielmo Monti. Il piano di intervento (quattro milioni di euro in totale) è stato presentato pubblicamente, durante una cerimonia che ha privilegiato gli aspetti mediatici a quelli tecnici.
A questo punto, dopo l'"assaggio" del progetto, hanno cominciato a circolare precise preoccupazioni tra i membri del Comitato Scientifico. Che non avevano ancora potuto vedere le tavole dell'architetto Campanella: (MENTRE ADESSO NON SI SONO VISTI I LUCIDI DI LUCIANI ndr).
C’è stata una riunione decisiva il 24 aprile scorso. Il direttore generale del Fai, Marco Magnifico, e i progettisti, di fronte al Comitato Scientifico. Una discussione serrata, un confronto occhi negli occhi. Tutti combattivi: da Guido Beltramini a Domenico Luciani, i più determinati, con il sostegno forte di Elisabetta Saccomani, Vincenzo Mancini e monsignor Andrea Nante.
Più elastica la posizione di Gianni Golin. Il confronto è stato vero. E' li che il Fai ha capito, e va dato atto che l'ha fatto velocemente. Ha capito che il profilo culturale doveva prevalere su quello, peraltro fondamentale, di una gestione economica possibile. Ha capito che il Fondo viene visto come entità di tutela, come pietra angolare del rispetto degli interventi: e che non potevano esserci sbavature.
Ha capito che andava evitato il rischio che Villa dei Vescovi, al di là delle volontà, si trasformasse in Ristorante dei Vescovi, subordinando il fascino e l'importanza del monumento ad un pur prestigioso epicureismo.
IL DOCUMENTO. Così da quella riunione è uscito un documento sottoscritto dal Fai e da tutti i componenti del Comitato Scientifico.
Ecco i passaggi più importanti: "La riunione ha favorito l'emergere di un pieno accordo sulle tematiche specifiche del restauro dell'edificio e delle sue valenze architettoniche e artistiche, dall'altro ha messo in luce la necessità di riconsiderare alcuni aspetti legati alla rifunzionalizzazione del bene. In particolare, si è convenuto che alcuni interventi programmati non fossero del tutto indispensabili all'utilizzo del monumento e anzi, potessero prestarsi a dare dell'intervento un'immagine troppo invasiva". Seguono le indicazioni già descritte: addio ascensore, addio bagni e addio orario serale della caffetteria-ristoro. E ancora: "Tali decisioni sono state ispirate anche dalla volontà emersa chiaramente e con condivisione durante il confronto con il Comitato Scientifico, di comunicare un criterio di intervento il più possibile misurato, contenuto e di "buon senso"". Comunque, meglio essere come san Tommaso.
CHI C’È NEL COMITATO SCIENTIFICO
Il Comitato Scientifico che ha fatto sentire la propria presenza in modo così deciso è composto da Guido Beltramini, direttore del Centro Internazionale di Studi Andrea Palladio di Vicenza; da Gianni Golin, direttore dell’Arpai di Vicenza; da Elisabetta Saccomanni, docente di Storia dell’Arte Moderna all’Università degli Studi di Padova, da Vincenzo Mancini, che lavora con la Fondazione Cini e l’Università di Padova, da Andrea Nante, direttore del Museo Diocesiano di Padova. Del Comitato faceva parte anche l’architetto Domenico Luciani, che peraltro ha ricevuto l’incarico per la salvaguardia e valorizzazione degli spazi aperti contestuali a Villa dei Vescovi: ha deciso quindi di uscirne per non trovarsi nella posizione di controllore-controllato.
Le competenze. Beltramini è ovviamente un esperto di architettura del Cinquecento, Golin si occupa di tutela delle fabbriche antiche, Saccomanni e Mancini sono i superesperti di Sustris, il pittore che ha affrescato la Villa; infine Andrea Nante conosce le dinamiche culturali dell’Umanesimo padovano.
IL NULLAOSTA DELLA SOPRINTENDENZA
La Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici non ha dato il nulla osta a cuor leggero: più di cento tavole di progetto da esaminare, sopralluoghi, riflessioni. Alla fine l'o.k. è stato dato al piano generale, non senza aver cassato l'idea balzana di ospitare un parcheggio nel brolo (sul punto, mea culpa del Fai). Ma su alcune questioni tecniche, la Soprintendenza ha imposto prescrizioni precise e ulteriori approfondimenti. Per esempio, aveva detto di spostare l'ascensore da molti incriminato. Non e d'accordo sulle grondaie che dovrebbero sostituire i doccioni. Insomma, un lavoro certosino che è tuttora un work in progress.
IL DIRETTORE: "CONTROLLI PERIODICI SUI LAVORI"
Per Marco Magnifico, direttore generale culturale del Fai, "era quello che volevamo tutti". E continua: "Forse c'è stata qualche incertezza di comunicazione nei confronti del Comitato Scientifico, ma adesso ci siamo parlati e la condivisione è totale".
Anche se in una lettera all'istituto Ville venete scrivevate che le preoccupazioni erano tutte balle. (Già, come dicono adesso a Giuliana D'Olcese, diffidata dal FAI per aver usato dei toni un po’ forti, parlando di SCEMPIO ndr).
Poi avete deciso un rapido "ripensamento"...
"Guardi, al di là dei particolari tecnici, quello di cui ci siamo resi conto è che al Fai si guarda come ad un'entità seria e autorevole. E' stata un'enorme soddisfazione cogliere questo aspetto, anche nella sua deriva che ci ha posto dei limiti. In fondo, noi siamo di esempio, non possiamo sbagliare e non possiamo nemmeno osare troppo. E' stata anche la consapevolezza di questo aspetto che ci ha fatto riconsiderare tutta la questione".
Non cambia la finalità di aver acquisito (..ndr) Villa dei Vescovi.
"Assolutamente no. Vogliamo aprirla al pubblico, farla conoscere. Ora abbiamo capito la misura. Ma è fondamentale che tutti comprendano che esiste anche un problema gestione: noi combattiamo con il bilancio ogni anno, anche se nel 2006 siamo riusciti ad avere trentamila euro di attivo...
Un edificio come Villa dei Vescovi per sopravvivere ed essere a disposizione del pubblico deve anche avere delle entrate: questo è solo un corretto principio di gestione.
E perchè l'architettura sia viva, occorre che sia percorsa da persone che la facciano vivere. Il Fai avrebbe potuto rifiutare la donazione: rifiutiamo il novanta per cento di quanto ci viene proposto, proprio perchè non sussistono presupposti decenti di gestione. (se non ci possono lucrare scartano i beni, alla faccia dell'amore per l'arte!!) Villa dei Vescovi è importante, è unica, e può funzionare".
Senza aprire il ristoro alla sera. "Certo, sarà più difficile trovare un gestore, sarebbe stato più appetibile offrire un servizio anche la sera. Ma ci siamo convinti.
D'altra parte i costi di gestione possono essere contenuti: in fin dei conti c'è il custode con la sua casa, ma la manutenzione del vigneto è di Vignalta. Abbiamo rimosso degli ostacoli di comprensione, ora si parte". Quando?
"Ai primi di maggio (maggio 2007ndr) verrà aperto il cantiere. Siamo già d'accordo con il Comitato Scientifico per una serie di riunioni periodiche, presente anche la Soprintendenza, per monitorare congiuntamente il procedere dei lavori e concordare eventuali modifiche che si rendessero necessarie dall'emergere nel corso dei lavori di nuovi dati oggettivi".

 

e il FAI e Magnifico cambiarono nome a La Piana di Vegonno

 

"Valle dei Filosofi? A noi di Azzate quel nome non piace"

Il presidente della Pro Loco chiede spiegazioni al direttore del Fai Marco Magnifico: perchè la piana di Vegonno si chiama così?
“Volevo capire come è nato il nome "La Valle dei Filosofi" per indicare La Piana di Vegonno". La domanda è arrivata un giorno in redazione da Nicola Tucci, presidente della Pro Loco di Azzate. La questione è solo apparentemente “leggera” perché nasconde un “piccolo” problema: la piana di Vegonno fa parte dei luoghi del cuore del Fai e, durante le giornate in cui vengono aperte le proprietà del Fondo per l’Ambiente Italiano, viene visitato da moltissime persone.
“Voci di paese – continua Tucci - indicano che il milanese-brunellese Marco Magnifico, direttore generale del Fai, assegnò direttamente il nome di "Valle dei Filosofi", senza un minimo di "consulenza" fra Pro Loco e storico del paese.
La cosa che anni fa destò scalpore fu proprio questo nome: "Valle dei Filosofi", pare che negli archivi del nostro appassionato storico, Giancarlo Vettore, non ci sia traccia di un nome simile e pertanto tale nome “indigesto” ha assunto un nome forzato da qualcuno (il FAI) solo per un vezzo. Tanto è vero che fra i vegonnesi il nome "Valle dei Filosofi" proprio non dice nulla e non piace affatto proprio perché imposto”.
“Ricordo pure un'infausta giornata (per alcuni abitanti vegonnesi) nell' anno scorso – continua il presidente della Pro Loco. In occasione della giornata di primavera del FAI, ci fu un "assalto" nelle case rustiche di Vegonno, cosa poco piaciuta agli stessi vegonnesi”.
“Su alcune cose bisogna aver tatto e sapersi muovere, altrimenti se da una parte si vuole promuovere il territorio (dargli un nome e farlo conoscere), dall'altra si fa un operazione contraria e controproducente (il nome non piace e ti "arriva gente in casa" senza chiedere il permesso).
Orbene, in qualità di Presidente Pro Loco Azzate vorrei vederci chiaro sulla faccenda. La questione è semplice, se devo essere "Imprenditore del Territorio" devo sapere i "beni" da far fruttare”.
E noi lo abbiamo chiesto a Marco Magnifico che ci ha dato una spiegazione, che potete ascoltare per intero nel video allegato: “La risposta è semplice - ha detto il direttore del Fai – è un nome che ha dato mio padre. Noi andiamo spesso a passeggiare a Vegonno e i grandi spazi hanno fatto tornare alla mente di mio padre il pensiero di Alvise Cornaro, grande scrittore del 500, il quale sosteneva che gli ampi spazi elevano lo spirito e aiutano ad avere grandi pensieri”. Ecco la risposta.
http://www3.varesenews.it/varese/articolo.php?id=160417

 

VILLA DEI VESCOVI

Criticò l'albergo di villa Ponti. Assolto l'architetto Mozzoni
Era stato querelato dalla camera di commercio per un articolo
Ma il giudice ha ritenuto che abbia solo esercitato il diritto di critica

 

L’architetto Guglielmo Mozzoni, artista di fama e ultimo esponente delle casate nobiliari del colle di Biumo, è stato assolto dall’accusa di aver diffamato la Camera di commercio. Lo ha deciso il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Varese, Elena Ceriotti, che ha decretato il non luogo a procedere in merito a una querela presentata, tre anni fa, dall’ente camerale contro di lui. Oggetto del contendere, era l’albergo che la Camera vuole costruire a Ville Ponti. L’architetto aveva espresso la sua contrarietà, con un articolo sulla stampa locale, in cui aveva usato dei toni un po forti, parlando di scempio e rivolgendo accuse o critiche (a seconda di come la si veda) ai promotori dell’iniziativa.  Le sue parole erano state ritenute offensive dai vertici di piazza Monte Grappa, e al nobile era giunto un avviso di garanzia. La vicenda si è però conclusa con il nulla di fatto. Mentre il dibattito sull’albergo è ancora aperto. L’ipotesi di albergo prevede un edificio all’esterno del parco, e si inserisce in un generale programma di intervento dell’intero Colle di Biumo. Che prevede un percorso tra i parchi e le ville storiche della collina e un ampliamento del museo di Villa Panza. Sono favorevoli le amministrazioni locali e il Fai, che ne è coinvolto con la gestione di  Villa Panza, e Amici della terra. Sono contrari Legambiente, Verdi Ambiente e Società, Italia Nostra. E Mozzoni.

http://www3.varesenews.it/varese/articolo.php?id=134178

 

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