VILLA DEI VESCOVI

Giuliana D'Olcese de Cesare
 "Il mio avo Raffaele de Cesare,
tra i fondatori del Corriere della Sera,
e storico e giornalista, su Wikipedia"

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Sarà per il fatto che il mio avo Raffaele de Cesare, oltre che storico e politico - e tra i fondatori e firma illustre del Corriere della Sera - che amo tanto il giornalismo, la libertà di stampa e la deontologia professionale dell'informazione corretta mai schiava di un padrone?
Laureatosi a Napoli in scienze politiche (1865) e in Giurisprudenza (1867), si dedicò al giornalismo interessandosi soprattutto ai problemi del Mezzogiorno affrontati da un punto di vista moderato. Nel primo saggio "Le classi operaie in Italia" (1868) sostenne la necessità di migliorare le condizioni economiche generali dei lavoratori dell'Italia Meridionale, propugnando l'industrializzazione del Mezzogiorno. Si recò nel 1870 a Roma interessandosi ai problemi legati alla Questione romana e iniziando l'esame degli ultimi anni dello Stato Pontificio, argomento della sua importante opera storica Roma e lo Stato del Papa dal ritorno di Pio IX al 20 settembre 1870 (1907), il capolavoro assieme all'altra opera in cui si mostra la fine del Regno delle Due Sicilie, La fine di un Regno (1909).
Le due opere, scritte con uno stile piacevole, col frequente ricorso ad aneddoti, ricche documentazione, costituiscono uno strumento indispensabile per lo studio dell'Italia preunitaria. De Cesare Fu tra i fondatori del Corriere della Sera su cui pubblicò delle famose Note Vaticane.
Fu deputato di Destra dal 1897 al 1904 occupandosi principalmente di agricoltura e dello sviluppo della Puglia fu relatore alla Camera per la legge sull'acquedotto pugliese
(1902). Nel 1910 fu nominato senatore. Come storico, oltre alle due opere sulla fine degli stati preunitari nell'Italia Centro-Meridionale, occorre ricordare Mezzo secolo di storia italiana (1912 e Una famiglia di patriotti (1889).
http://www.spinazzolaonline.it/Raffaele de Cesare
http://www.touringclub.it/Museo-Raffaele-De-Cesare

La riscoperta del mio avo Raffaele de Cesare
Domenica 21 dicembre 2008 scorro le pagine del Corriere della Sera e trovo una graditissima sorpresa. La Professoressa Vera M Di Giulio scrive al Corriere:
Sono una professoressa di lettere presso la scuola media "Raffaele de Cesare" di Spinazzola (Ba). Lo scorso anno scolastico ho coinvolto due classi del nostro Istituto nella redazione di un giornalino a cui abbiamo dato il nome "De Cesare news". Volendo pubblicarlo su un sito mi è stato consigliato di cambiargli nome, ma mi sono scontrata con lo sguardo un po' severo di un signore baffuto che mi osservava da una foto sbiadita appesa al muro: era Raffaele de Cesare. Nessun collega sapeva chi fosse. Faccio una rapida ricerca e scopro che oltre a essere l'autore di un volume fondamentale per lo studio degli anni precedenti l'unità d'Italia nel Regno borbonico ("La fine di un regno"), egli è stato anche un giornalista per diverse testate (oltre che deputato e senatore del giovane Regno d'Italia) tra cui il Corriere della Sera (di cui risulta essere addirittura uno dei soci fondatori).
Quest'anno (il 29 novembre) ricorre il 90° anniversario della morte del nostro benemerito cocittadino (nato a Spinazzola) ma morto a Napoli tra l'altro dimenticato da tutti!) e vorrei preparare una piccola celebrazione illustrando la vita e le opere di Raffaele de Cesare.

   Vera M. Di Giulio
Ed io rispondo 
A proposito di Raffaele de Cesare,
come discendente diretta di Raffaele de Cesare, vorrei esprimere gratitudine alla Professoressa Vera M Di Giulio per quanto ha scritto il 21 dicembre sulla figura di storico, di giornalista -tra l'altro tra i fondatori del Corriere della Sera- e di uomo politico deputato e senatore del giovane Regno d'Italia.
Grata, condivido pienamente l'idea della Signora Di Giulio di farne una degna celebrazione e del giornale on line "de Cesare News" così da ricordare la vita, le opere storiche e politiche e la figura davvero complessa del mio trisavolo.
Estraendo dall'oblio un personaggio sulle le cui opere, tra le altre "La fine di un regno", si è  formata, generazione dopo generazione, una nutrita schiera di autorevoli intellettuali, meridionalisti, storici e giornalisti tra cui mio padre, Sergio de Cesare, che fu direttore della rivista dell'eroe dell'Amba Alagi, Ajmone d'Aosta, e giornalista di politica estera ed interna, la Prof. Di Giulio compie un'opera davvero meritoria.
E chissà che il suo prezioso contributo non risvegli quel giusto orgoglio di appartenenza al Meridione d'Italia da troppo tempo, oramai, affossato dagli eventi politici e sociali il cui degrado, amarissimamente, noi meridionali vediamo svolgersi giorno dopo giorno ed a cui pare non esservi mai fine.
   Giuliana D'Olcese de Cesare
Risponde la Prof. Di Maio
Gent. ma sig.ra D'Olcese,
effettivamente il 29 novembre presso la scuola media che porta il nome del suo avo, e presso la quale insegno si è svolta la commerozione di Raffaele De Cesare.
Il pubblico era composto prevalentemente da ragazzi di prima media, attenti e incuriositi nel sentir parlare di un così illustre concittadino che per loro altri non era che il nome della scuola media. All'iniziativa hanno partecipato il sindaco di Spinazzola, il dirigente scolastico e il sig. Nicola Galantucci della Pro Loco di Spinazzola, conoscitore di Raffaele De Cesare, che ha messo a disposizione numerose pubblicazioni ormai introvabili. Io ho trovato l'atto di nascita e di battesimo di Raffaele Ernesto Luigi De Cesare, ho poi trovato testimonianze di Giosuè Carducci che cita De Cesare e Benedetto Croce.
Ho fatto una piccola presentazione in power Point. Mi piacerebbe continuare la celebrazione ogni anno per tenere vivo l'interesse attorno ad un personaggio quasi dimenticato ma che con la sua storia non accademica ma ricca di aneddoti e testimonianze potrebbe interessare le giovani generazioni ed avvicianarle ad un periodo storico ormai lontano per i ragazzi. Intanto ho mandato tutto al nipote prof. Raffaele De Cesare che vive a Città di Castello, non se che rapporti di parentela ha con lei.
La ringrazio ancora e le auguro serene feste.
 Vera Maria Di Giulio Via G. Bruno, 3 70058 Spinazzola (BA)
Mi scrive l'8 Aprile 2009 Paolo Nardo lettore delle mie rubriche on line
Gentile Signora,
sono interessato al libro 'Roma e lo stato del Papa' del suo prestigioso avo Raffaele de Cesare. Purtroppo non sono riuscito a trovarne copia, ne' nelle librerie, ne' tramite internet. Sarebbe così gentile se potesse indicarmi se e eventualmente dove, trovare questo libro?
   Grazie, Paolo Nardo
Rispondo al signor Nardo
Salve signor Nardo, intanto sono anni ed anni che i libri di Raffaele de Cesare sono assenti dalle normali librerie, ha provato con la famosa Libreria Guida di Napoli?
Se loro non lo hanno potrebbero darle indicazioni utili.
Poi potrebbe rivolgersi alla Professoressa Di Giulio e ad un appassionato di Raffaele de Cesare, e collezionista delle sue opere, che vive a Spinazzola o anche alle librerie antiquarie che sono disseminate per l'Italia e che si trovano su internet. Intanto le allego questa corrispondenza con cui potrà contattare le persone giuste.
Spero di esserle stata di qualche utilità
Cordialmente gd'o. Visiti il sito http://www.villadeivescovi.net/
Storici italiani | Giornalisti italiani del XIX secolo | Politici italiani del XIX secolo | Giornalisti italiani del XX secolo | Politici italiani del XX secolo
Opere

Raffaele de Cesare, Antonio Scialoja: memorie e documenti, Citta di Castello: S. Lapi, 1893
Raffaele de Cesare, Una pagina di storia del 1799, Trani: Ditta tip. ed. Vecchi, 1907
Raffaele de Cesare, Agro romano e tavoliere di Puglia, Roma: Forzani e C. Tipografi del Senato, 1897
Raffaele de Cesare, Della vita e degli scritti di Felice Mariottini, Citta di Castello: Scuola grafica IPSIA, stampa 2002
Raffaele de Cesare, I quattro statuti del 1848, Firenze: Ufficio della Rassegna nazionale, 1898
Raffaele de Cesare, Il Conclave di Leone XIII: con aggiunte e nuovi documenti e il futuro Conclave, Citta di Castello: Lapi, 1888
Raffaele de Cesare, La fine di un Regno, Citta di Castello: S. Lapi, 1909
Raffaele de Cesare, Le classi operaie in Italia, Napoli: Tip. del Giornale di Napoli, 1868.
Raffaele de Cesare, Mezzo secolo di storia italiana: 1861-1910, Citta di Castello: S. Lapi, 1912.
Raffaele de Cesare, Riccardo Pierantoni e le sue novelle, recenti pubblicazioni sul risorgimento, un libro sulla regina Margherita, Roma: Nuova antologia, 1913
Raffaele de Cesare, Roma e lo Stato del Papa dal ritorno di Pio IX al 20 settembre, Roma: Forzani e C. tipografi-editori, 1907
Raffaele de Cesare, Silvio Spaventa e i suoi tempi, Roma: Tip. della camera dei deputati, 1893
Raffaele de Cesare, Una famiglia di patriotti: ricordi di due rivoluzioni in Calabria, Roma: Forzani, 1889

Raffaele de Cesare  - Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Raffaele De Cesare (Spinazzola11 novembre 1845 – Roma29 novembre 1918) è stato uno storico, giornalista e politico italiano.

Biografia

Laureatosi a Napoli in scienze politiche (1865) e in Giurisprudenza (1867), si dedicò al giornalismo interessandosi soprattutto ai problemi del Mezzogiorno affrontati da un punto di vista moderato. Nel primo saggio "Le classi operaie in Italia" (1868) sostenne la necessità di migliorare le condizioni economiche generali dei lavoratori dell'Italia Meridionale, propugnando l'industrializzazione del Mezzogiorno. Si recò nel 1870 a Roma interessandosi ai problemi legati alla Questione romana e iniziando l'esame degli ultimi anni dello Stato Pontificio, argomento della sua importante opera storica Roma e lo Stato del Papa dal ritorno di Pio IX al 20 settembre 1870 (1907), il capolavoro assieme all'altra opera in cui si mostra la fine del Regno delle Due Sicilie, La fine di un Regno (1909). Le due opere, scritte con uno stile piacevole, col frequente ricorso ad aneddoti, ricche documentazione, costituiscono uno strumento indispensabile per lo studio dell'Italia preunitaria. De Cesare Fu tra i fondatori del Corriere della Sera su cui pubblicò delle famose Note Vaticane. Fu deputato di Destra dal 1897 al 1904 occupandosi principalmente di agricoltura e dello sviluppo della Puglia; fu relatore alla Camera per la legge sull'acquedotto pugliese (1902). Nel 1910 fu nominato senatore. Come storico, oltre alle due opere sulla fine degli stati preunitari nell'Italia Centrro-Meridionale, occorre ricordare Mezzo secolo di storia italiana (1912 e Una famiglia di patriotti (1889).

Collegamenti esterni

Biografia di Raffaele de Cesare Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Raffaele_de_Cesare" Categorie: Biografie | Storici italiani | Giornalisti italiani del XIX secolo | Giornalisti italiani del XX secolo | Politici italiani del XIX secolo | Politici italiani del XX secolo | Nati nel 1845 | Morti nel 1918 | Nati l'11 novembre | Morti il 29 novembre

Corriere della Sera Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Corriere della Sera
Logo de Corriere della Sera
Prezzo di copertina 1,00 € (giovedì e sabato 1,50 €)
Paese Italia
Lingua italiano
Periodicità quotidiano
Genere stampa nazionale
Formato Broadsheet[1]
Tiratura 825.342 (dicembre 2007)
Diffusione 662.253 (dicembre 2007)
Fondazione 5 marzo 1876
Inserti e allegati
  • Corriere della Sera Magazine (giovedì)
  • Io Donna (sabato)
  • Corriere della Sera Style (mensile)
  • Vivimilano (mercoledì solo nella zona milanese)
Sede via Solferino, 28, Milano
Editore Rcs Quotidiani S.p.A.
Capitale sociale 40.000.000,00 €
Direttore Paolo Mieli
Condirettore Paolo Ermini
Vicedirettore Magdi Allam (ad personam), Pierluigi Battista, Dario Di Vico, Luciano Fontana
Redattore capo  
ISSN 1120-4982
Sito web Corriere della Sera.it

 Il Corriere della Sera è il primo quotidiano italiano per diffusione, con 662.253 copie (dati Ads-Accertamento diffusione stampa - media mobile gennaio-dicembre 2007) e il terzo per numero di lettori (2.615.000), preceduto da La Gazzetta dello Sport (3.592.000) e da La Repubblica (2.944.000) [2].
Ha sede a Milano ed è pubblicato dal gruppo Rcs Quotidiani S.p.A..

Storia dalle origini al 1900

Il Corriere della Sera nacque nel febbraio 1876 quando Eugenio Torelli Viollier, direttore de La Lombardia, e Riccardo Pavesi, editore della medesima, decisero di fondare un nuovo giornale. Il primo numero venne annunciato dagli strilloni in piazza della Scala domenica 5 marzo 1876, con la data del 5-6 marzo. Per il lancio venne scelta la prima domenica di Quaresima. Tradizionalmente quel giorno i giornali milanesi non uscivano. Il Corriere sfruttò quindi l'assenza di concorrenza; però per non farsi inimicare l'ambiente, devolse in beneficenza il ricavato del primo numero. La foliazione era di quattro pagine. La tiratura iniziale fu di 15 mila copie. Come sede del nuovo giornale fu scelto un luogo di prestigio, la centralissima Galleria Vittorio Emanuele. Tutto il giornale era raccolto in due stanze ed era fatto da tre redattori (oltre al direttore) e da quattro operai. I tre collaboratori di Torelli Viollier erano suoi amici:

Raffaello Barbiera, veneto, che aveva rinunciato al suo impiego al comune di Venezia per inseguire le sue velleità letterarie. Aveva conosciuto Torelli casualmente ad un pranzo pochi mesi prima della fondazione del giornale.

Ettore Teodori Buini originario di Livorno, colto, amico personale di Eugenio da dieci anni, poliglotta, definito "personaggio salgariano", era il caporedattore.

Giacomo Raimondi, l'unico nato nella città dove si pubblicava il giornale, dal passato tumultuoso di volontario nel corso delle guerre risorgimentali.

Di idee vagamente socialiste, già collaboratore del Sole, fondatore de l'Economista, collaboratore del Gazzettino Rosa, aveva lasciato quest'ultimo giornale per la scelta della testata di aderire all'Internazionale marxista. I quattro anni precedenti il suo approdo al Corriere erano stati di vera e propria indigenza.

Collaboravano al giornale anche la moglie del Buini, Vittoria Bonacina, che traduceva alcuni dei romanzi pubblicati sulle pagine del Corriere, e la stessa moglie di Torelli, Maria Antonietta Torriani, scrittrice di romanzi d'appendice con lo pseudonimo "marchesa Colombi".
Per le indispensabili corrispondenze da Roma si era offerto di collaborare gratuitamente Vincenzo Labanca, vecchio amico di Torelli Viollier.

Per l'estero c'erano accordi con l'Agenzia Stefani e l'Havas. L'amministratore del giornale era il fratello di Eugenio, Titta Torelli.
Il giornale veniva fatto stampare da una tipografia esterna, che possedeva uno stanzone nei sotterranei della Galleria Vittorio Emanuele

Dall'editoriale del n° 1 del «Corriere della Sera»: Al Pubblico
"Pubblico, vogliamo parlarci chiaro. In diciassette anni di regime libero tu hai imparato di molte cose. Oramai non ti lasci gabbare dalle frasi. Sai leggere fra le righe e conosci il valore delle gonfie dichiarazioni e delle declamazioni solenni d'altri tempi. La tua educazione politica è matura. L'arguzia, l'esprit ti affascina ancora, ma l'enfasi ti lascia freddo e la violenza ti dà fastidio. Vuoi che si dica pane al pane e non si faccia un trave d'una fessura. Sai che un fatto è un fatto ed una parola non è che una parola, e sai che in politica, più che nelle altre cose di questo mondo, dalla parola al fatto, come dice il proverbio, v'ha un gran tratto. Noi dunque lasciamo da parte la rettorica e veniamo a parlarti chiaro.

Non siamo conservatori. Un tempo non sarebbe stato politico, per un giornale, principiar così. Il Pungolo non osava confessarsi conservatore. Esprimeva il concetto chiuso in questa parola con una perifrasi. Ora dice apertamente: "Siamo moderati, siamo conservatori". Anche noi siamo conservatori e moderati. Conservatori prima, moderati poi. Vogliamo conservare la Dinastia e lo Statuto; perché hanno dato all'Italia l'indipendenza, l'unità la libertà, l'ordine. In grazia loro si è veduto questo gran fatto: Roma emancipata da' papi che la tennero durante undici secoli. […]
Siamo moderati, apparteniamo cioè al partito ch'ebbe per suo organizzatore il conte di Cavour e che ha avuto finora le preferenze degli elettori, e - per conseguenza - il potere.[…] L'Italia unificata, il potere temporale de' papi abbattuto, l'esercito riorganizzato, le finanze prossime al pareggio: ecco l'opera del partito moderato.
Siamo moderati, il che non vuol dire che battiamo le mani a tutto ciò che fa il Governo. Signori radicali, venite tra noi, entrate ne' nostri crocchi, ascoltate le nostre conversazioni. Che udite? Assai più censure che lodi. Non c'è occhi più acuti degli occhi degli amici nostri nel discernere i difetti della nostra macchina politica ed amministrativa; non c'è lingue [sic] più aspre, quando ci si mettono, nel deplorarli. […] Gli è che il partito moderato non è un partito immobile, non è un partito di sazi e dormienti. È un partito di movimento e di progresso.
Senonché, tenendo l'occhio alla teoria, non vogliamo perdere di vista la pratica e non vogliamo pascerci di parole, e sdegniamo i pregiudizii liberaleschi. E però ci accade di non voler decretare l'istruzione obbligatoria quando mancano le scuole ed i maestri; di non voler proscrivere l'insegnamento religioso se tale abolizione deve spopolare le scuole governative; di non voler il suffragio universale, se l'estensione del suffragio deve porci in balia delle plebi fanatiche delle campagne o delle plebi voltabili [sic] e nervose delle città. [...]
[Conclusione] A' giornali dello scandalo e della calunnia sostituiamo i giornali della discussione pacata ed arguta, della verità fedelmente esposta, degli studi geniali, delle grazie decenti, rialziamo i cuori e le menti, non ci accasciamo in un'inerte sonnolenza, manteniamoci svegli col pungolo dell'emulazione, e non ne dubitiamo, il Corriere della sera potrà farsi posto senza che della sua nascita abbiano a dolersi altri che gli avversari comuni".

Nei giorni successivi le vendite del quotidiano si assestarono sulle 3 mila copie. Il prezzo di un numero era di 5 centesimi (un soldo) a Milano, 7 fuori città.
Il giornale era così composto: la prima pagina ospitava l'articolo di fondo, la cronaca del fatto più rilevante e i commenti al fatto. La seconda era dedicata alla cronaca politica italiana e straniera. La terza pagina ospitava la cronaca milanese e le notizie telegrafiche. La quarta pagina era dedicata alla pubblicità. I caratteri venivano stampati in corpo 10. Il Corriere andava in macchina alle 14 per essere distribuito circa due ore dopo. Il quotidiano usciva con una doppia datazione (5-6 marzo, per esempio), poiché la lentezza dei trasporti faceva sì che spesso giungesse nelle altre regioni l'indomani[4]. Il 18 marzo 1876, tredici giorni dopo l'uscita del primo numero, avvenne una svolta nella storia del giornale: Riccardo Pavesi fu eletto al Parlamento. Nonostante appartenesse al partito dei moderati, decise di spostarsi a sinistra, cioè dalla parte che aveva vinto a livello nazionale. Quindi cambiò l'indirizzo politico de La Lombardia e cercò di persuadere Torelli Viollier a fare altrettanto al Corriere. Ma gli venne opposto un netto rifiuto. Pavesi decise allora di uscire dal Corriere. Il direttore rimase con suoi i tre redattori e quattro operai.
La fattura del Corriere, come di quasi tutti i giornali dell'epoca, era artigianale: la scrittura degli articoli, tranne che per le corrispondenze da Roma, era "fatta in casa", non essendoci cronisti (li aveva solo Il Secolo). La maggior parte del lavoro era affidato alla penna ed alle forbici (per i dispacci "adattati") di Torelli Viollier, con un ritmo d'aggiornamento di 2/3 giorni per le notizie interne e di 10/15 per l'informazione proveniente dall'estero[5]. Il giornale non aveva una tipografia propria (con i conseguenti problemi di gestione dell'autonomia del giornale) e limitava al massimo la pubblicazione di disegni ed incisioni, che invece erano frequenti sul concorrente Secolo. La tiratura cominciò a salire decisamente nel 1878. Al principio dell'anno re Vittorio Emanuele II fu colto da un'improvvisa malattia che lo portò alla morte. Tutti i giornali italiani diedero ampio spazio all'avvenimento. Ma dopo la sua morte tornarono a pubblicare le solite notizie. Torelli Viollier invece continuò a trattare la notizia della morte del re per un'ulteriore settimana. Ciò fece aumentare le vendite da 3.000 a 5.600; le vendite salirono nel resto dell'anno fino a sfondare a dicembre quota 7.000 copie giornaliere.Nel consueto articolo di fine anno, che Torelli Viollier pubblicava prima delle festività natalizie, il direttore del Corriere ringraziò i lettori e confermò il suo impegno a trattarli non come avventori […], ma come amici e soci in un'impresa comune, giacché come tali li consideriamo, e tali sono"[6]. Dagli anni '80 Milano iniziò ad essere investita da una rapida trasformazione economica e sociale. Un nuovo ceto di commercianti e industriali (di origine né patrizia né liberale) si affermò come nuova forza emergente. Il Corriere seppe intercettare questo nuovo pubblico e in pochi anni riuscì ad attirare la sua attenzione.

Nell'articolo di fine anno 1881 (Programma per l'anno 1882), Torelli annunciò il potenziamento dell'uso del telegrafo per la trasmissione dei pezzi dei corrispondenti, che fino ad allora si erano avvalsi prevalentemente del servizio postale. Il direttore voleva che anche le notizie dall'estero giungessero in tempi rapidi: nel 1882 inviò i primi corrispondenti all'estero del Corriere, nelle città di Parigi, Londra e Vienna.
Nel Programma per l'anno 1883 Torelli annunciò che non avrebbe più utilizzato i rendiconti dell'agenzia Stefani per quanto riguarda i lavori del Parlamento, ma avrebbe raccolto le notizie in proprio. Nel 1883, grazie alla nuova rotativa (König & Bauer) capace di produrre 12.000 copie l'ora, il Corriere cominciò a stampare due edizioni al giorno. Il giornale uscì con un'edizione nel primo pomeriggio e una seconda in serata. Alla fine del 1885 il Corriere produceva quasi esclusivamente notizie in proprio. Torelli Viollier poteva affermare che ben di rado il Corriere stampa notizie ritagliate da altri fogli e le forbici della redazione, che sono il redattore capo di molti giornali, arruginiscono[7]. Dal 1883 al dicembre 1885 le vendite passarono da 14.000 a 30.000. Il Corriere vendeva il 58% delle copie in Lombardia, il 20% tra Piemonte ed Emilia (seguendo le direttrici delle linee ferroviarie), il resto era distribuito in Veneto, Liguria, Toscana e in alcune città delle Marche e dell'Umbria.
Nella città di Milano, il Corriere era il secondo quotidiano, davanti a La Perseveranza e dietro a Il Secolo. Ma, mentre Secolo aveva alle spalle il sostegno di una casa editrice (la Sonzogno)[8], il Corriere doveva contare solamente sulle proprie forze. La forza del giornale stava nell'alleanza tra Torelli Viollier e il nuovo socio, l'industriale Benigno Crespi, il primo desideroso di fare un giornale moderno; il secondo attento ai bilanci ma anche sensibile ad effettuare investimenti, anche cospicui, per mantenere il giornale competitivo. L'ingresso di Crespi quale proprietario e finanziatore del Corriere aveva portato all'acquisto di una seconda macchina rotativa (che aveva permesso un miglioramento della fattura delle pagine e un aumento consistente delle copie stampate), all'incremento dei servizi telegrafici e all'assunzione di nuovi collaboratori, scelti da Torelli in completa indipendenza. A partire dalla seconda metà degli anni ottanta le colonne del Corriere ospitarono stabilmente varie rubriche giornaliere, nate sperimentalmente negli anni precedenti. Le principali furono: la rubrica letteraria, pubblicata di lunedì (nata nel 1879), la Cronaca dalle grandi città, realizzata dagli inviati nelle principali città italiane (dal novembre 1883), La Vita, consigli di igiene e di economica domestica (apparsa nel 1885),

La Legge, dove un esperto legale rispondeva ai lettori (nata nel 1886). Il quotidiano continuava a pubblicare in ogni numero un romanzo d'appendice a puntate.

Le pagine a disposizione erano sempre quattro, di cui una (la quarta) dedicata in gran parte alla pubblicità. Nel 1886 Torelli Viollier invento la figura del “redattore viaggiante”, ovvero il cronista che sceglieva un itinerario e scriveva tutto quello che vedeva: fatti, persone, storie, ecc. Quell'anno per la prima volta le copie vendute del giornale sorpassarono le copie distribuite in abbonamento. Alla fine del decennio il Corriere della Sera vendeva 60.000 copie, ponendosi ai primi posti nella classifica dei giornali più venduti del Nord Italia. I nomi dei giornalisti che lavoravano al Corriere cominciarono ad essere noti: Paolo Bernasconi (inviato a Parigi), Dario Papa, Barattani, Barbiera, Mantegazza. Fa la sua prima comparsa il medico e criminologo Cesare Lombroso. I collaboratori fissi e saltuari erano circa 150. A partire dal 1888 il Corriere spostò la prima edizione all'alba ed arretrò la seconda edizione al pomeriggio. Ciò non per sconvolgere le abitudini dei lombardi, che dedicavano tempo alla lettura solo dopo il lavoro, ma per fare in modo che il giornale arrivasse nelle regioni più lontane entro il giorno di pubblicazione. Nel 1890 venne inaugurata la terza edizione: la prima era destinata a raggiungere le destinazioni più lontante; la seconda, del pomeriggio, rimaneva quella della Lombardia, mentre la terza era a tutti gli effetti una nuova edizione con notizie aggiornate. Era evidente lo sforzo del Corriere di fornire un prodotto completo al fine di conquistare sempre più larghe fette di mercato.

A partire dagli anni novanta il Corriere offrì ai suoi lettori articoli di prima mano anche da luoghi diversi dalle capitali europee: si pensi ai corrispondenti di guerra in Africa. Nel 1896 Torelli Viollier assunse il venticinquenne Luigi Albertini come segretario di redazione, ruolo inesistente all'epoca in Italia e ritagliato su misura: Albertini mostrava già spiccate doti organizzative e conoscenze tecniche[9], mentre non aveva alle spalle una solida carriera giornalistica. Albertini si impose agli occhi dei colleghi per il piglio organizzativo e la capacità decisionale. Doti che espresse anche in occasione delle proteste di maggio del 1898: fu Albertini infatti a decidere di mandare tutto il personale in cerca di nuove notizie nelle strade di Milano. Proprio i fatti di maggio segnarono una svolta nella direzione del quotidiano. La linea di Torelli Viollier venne messa in discussione finché il 1° giugno il fondatore decise di rassegnare le dimissioni da direttore politico. I proprietari installarono alla direzione Domenico Oliva di area conservatrice, editorialista e deputato. Luigi Albertini, ancora lontano dai vertici del Corriere, nel resto dell'anno viaggiò nelle principali capitali europee, per studiare la fattura dei più moderni quotidiani stranieri, accrescendo le proprie conoscenze tecniche.

L'era Albertini

Il bilancio del Corriere della Sera 1899-1900 vide un ridimensionamento delle principali voci del giornale. Nell'assemblea del 14 maggio 1900 i proprietari espressero le loro preoccupazioni per il futuro del Corriere. Luigi Albertini, che era stato promosso direttore amministrativo all'inizio dell'anno, si unì al coro esprimendo le proprie rimostranze sulla gestione del giornale. Oliva per tutta risposta rassegnò le dimissioni. Il 26 aprile era morto Eugenio Torelli Viollier. In luglio i proprietari assegnarono ad Albertini l'incarico di gerente responabile (=direttore responsabile); Albertini entrò anche nel capitale sociale con una piccola partecipazione. Non fu nominato nessun nuovo direttore politico. In soli sei anni Albertini seppe raddoppiare le vendite portandole da 75 mila a 150 mila, surclassando il diretto concorrente Il Secolo e diventando il primo quotidiano italiano per diffusione (nelle pubblicità, Il Secolo si era fregiato del titolo di "più diffuso quotidiano italiano") [10]. Nascono in questo periodo alcuni periodici collegati al prodotto-Corriere pensati per un pubblico eterogeneo: "La Domenica del Corriere" (1899), popolare, "La lettura" (1901), rivolto ad un pubblico più colto, il "Romanzo mensile" (1903), che raccoglie i romanzi d'appendice pubblicati a puntate sul Corriere, il "Corriere dei Piccoli" (1908), periodico a fumetti per ragazzi.
Intanto, nel 1904 era stata inaugurata la nuova sede (modellata su quella del Times di Londra) al civico 28 di via Solferino, in un palazzo progettato dall'architetto Luca Beltrami. Da allora il Corriere mantenne sempre lo stesso indirizzo. Sotto la direzione di Albertini, dal 1900 al 1925, il Corriere conobbe un crescendo inarrestabile: 275 mila copie nel 1911, che salirono a 400 mila nel 1918, grazie all'interesse per la guerra mondiale, per toccare quota 600 mila nel 1920. Il braccio destro di Albertini fu Eugenio Balzan, direttore amministrativo dell'azienda-Corriere, noto per la sua puntigliosità nel sorvegliare i conti. In questo periodo scrissero per il quotidiano lombardo molte fra le firme più prestigiose della nostra cultura, come Luigi Einaudi e Luigi Pirandello[11]. Nel 1925, dopo una serie di diffide e intimidazioni, il regime fascista ottenne le dimissioni di Albertini dalla direzione e dalla società editrice del quotidiano. Tramite cavilli giuridici la proprietà passò interamente alla famiglia Crespi, noti industriali tessili milanesi.

Dall'Editoriale, scritto il 28 novembre 1925 da Luigi Albertini, dal titolo «Commiato»:
"La domanda di scioglimento della società proprietaria del Corriere della Sera intimatami dai fratelli Crespi porta al mio distacco da questo giornale. Avrei avuto il diritto in sede di liquidazione di entrare in gara con essi per l'acquisto dell'azienda; ma era il mio un diritto teorico che in pratica non potevo esercitare. Non potevo esercitarlo, sia perché mi mancavano i mezzi per vincere nella gara i fratelli Crespi, possessori della maggioranza delle quote sociali, sia perché, quand'anche fossi riuscito a vincerli, la mia vittoria sarebbe stata frustrata dalla minacciata sospensione del Corriere. Abbiamo dovuto dunque, mio fratello ed io, rassegnarci alle conseguenze dell'intimazione dei signori Crespi, cedere loro le nostre quote e rinunziare alla gerenza ed alla direzione di questo giornale.

Con l'uscita di scena di Albertini iniziò la fascistizzazione del quotidiano milanese, che si conformò alle esigenze della dittatura. Balzan rimarrà altri 8 anni, poi nel 1933 lascerà anche lui. Sotto l'imposizione del regime, il Corriere ne appoggia la propaganda e sostiene i provvedimenti che contribuiscono a distruggere definitivamente il sistema democratico. Lo stesso vale per le leggi razziali del 1938. Particolarmente duri i toni assunti dal quotidiano durante la Repubblica Sociale di Mussolini. Il direttore in questi anni fu Ermanno Amicucci.

Dal 1945 al 1973

La storica sede del Corriere della Sera a Milano.

Un mese dopo la sospensione da parte del Comitato di Liberazione Nazionale, avvenuta nel aprile 1945, tornò con il nome di «Corriere d'informazione», l'anno successivo si chiamò «Il Nuovo Corriere della Sera». In occasione del referendum istituzionale, si schierò per la repubblica. Il nuovo direttore, Mario Borsa, stabilì una netta rottura col passato fascista del quotidiano, pubblicando editoriali coraggiosi sulla necessità dell'Italia di fare i conti con la dittatura. Alla fine dell'estate del 1946 venne sostituito da Guglielmo Emanuel. Nel 1952 i proprietari del Corriere, i Crespi, chiamano alla direzione Mario Missiroli, proveniente da Il Messaggero. Il Corriere è in un periodo d'oro: appartengono a questi anni i più illustri giornalisti, articolisti, inviati speciali, corrispondenti dall’estero mai avuti dal Corriere: Gaetano Afeltra, Domenico BartoliLuigi Barzini jr, Dino Buzzati, Egisto Corradi, Max David, Enzo Grazzini, Eugenio Montale, Indro Montanelli, Giovanni Mosca, Vittorio G. Rossi, Orio Vergani, Augusto Guerriero e (nella redazione romana) Panfilo Gentile.

Nel 1961 la Rizzoli annuncia l'uscita di un quotidiano nato da una costola del settimanale Oggi, "Oggi quotidiano". I Crespi, corrono ai ripari. Decidono di non rinnovare il contratto a Missiroli, che scadeva nel 1962; la scelta sul suo successore cade in un primo tempo sul suo pupillo Giovanni Spadolini, ma viene bocciata. Poi, su consiglio dei "senatori" del giornale, viene nominato Alfio Russo, proveniente da La Nazione di Firenze. Il nuovo direttore realizza una profonda trasformazione del quotidiano, dando maggiore spazio allo sport e agli spettacoli e, per la prima volta, aprendo una rubrica della posta dei lettori. Nel 1965 il quotidiano mette a segno uno scoop internazionale: l'intervista fatta da Alberto Cavallari a papa Paolo VI. L'orientamento del quotidiano resta moderato e liberale. In questi anni Russo fa crescere alcuni giovani che più tardi si riveleranno giornalisti di prim’ordine: Alberto Cavallari, Piero Ottone, Alberto Ronchey, Giuliano Zincone, Leonardo Vergani, scomparso poi prematuramente, Gaspare Barbiellini Amidei e Giulia Borgese, la prima donna assunta al Corriere. A dirigere lo sport chiama Gino Palumbo, importandolo da Napoli; alla cronaca di Milano mette Franco Di Bella.

A sostituire Alfio Russo viene chiamato, nel 1968, Giovanni Spadolini, già candidato in pectore sette anni prima. Spadolini, noto uomo di cultura, allargò decisamente la schiera dei collaboratori alla Terza pagina: chiamò Leonardo Sciascia, Giacomo Devoto, Denis Mack Smith, Leo Valiani, Goffredo Parise. Tra i giornalisti assunti vanno ricordati Luca Goldoni ed il torinese Piero Ostellino. Non si sentirono adeguatamente valorizzati, invece, Piero Ottone e Alberto Cavallari, che preferirono andarsene l'uno a dirigere Il Secolo XIX di Genova l'altro a dirigere il Gazzettino di Venezia. I Crespi erano soliti far firmare ad ogni nuovo direttore un contratto iniziale di 5 anni, per poi prolungarlo eventualmente di un anno alla volta. Nel 1972 Spadolini era al quarto anno, non era quindi in scadenza di contratto. Ciononostante la sua esperienza al "Corriere" terminò. Ed in maniera brusca: il professore trovò sul suo tavolo una lettera di dimissioni immediate. Era la prima volta dal 1925, quando la famiglia Crespi era diventata proprietaria del quotidiano, che un direttore veniva costretto a lasciare anzitempo l'incarico. Sul licenziamento di Spadolini, che apparve come un vero e proprio defenestramento, nacquero diverse voci, ma nessuna di esse trovò conferma. In sua sostituzione, la proprietà decise di affidare il quotidiano a Piero Ottone, che entrò in carica il 15 marzo 1972.

Dai Crespi ai Rizzoli

Con la direzione di Ottone la linea politica del Corriere della Sera fece una virata in senso marcatamente di sinistra. La redazione del giornale si spaccò: i dissidenti giunsero ad accusare Ottone di aver instaurato un "soviet" in redazione. Nell'ottobre del 1973 Indro Montanelli, in polemica con Ottone, decise di abbandonare il giornale portando con sé una trentina di redattori, tra i quali Guido Piovene, Egisto Corradi, Enzo Bettiza, Mario Cervi e Gianfranco Piazzesi. Con loro fondò nel 1974 un nuovo quotidiano, Il Giornale Nuovo. Il 12 luglio 1974 la famiglia Crespi cedette la proprietà del giornale al gruppo editoriale Rizzoli. Rizzoli si presentò come un editore "puro", privo cioè di interessi finanziari esterni all'editoria. Il nuovo proprietario confermò Piero Ottone alla direzione, accolse l'ingresso di due grandi firme come Enzo Biagi e Alberto Ronchey e annunciò un piano di potenziamento del giornale, che scattò nel 1977: vennero lanciati un inserto economico settimanale e un supplemento in rotocalco a colori (in vendita il sabato con un sovrapprezzo di 50 lire). Le iniziative però furono costose e non produssero i risultati attesi. In luglio la società editrice venne ricapitalizzata. I nuovi soci chiesero a Rizzoli un cambio di direzione al Corriere entro fine anno. Ottone li anticipò e si dimise il 22 ottobre.
Il suo successore fu Franco Di Bella, proveniente dal Resto del Carlino. La scelta significava che l'editore voleva portare il giornale da posizioni progressiste a moderate. Se ne accorsero Michele Tito, Giampaolo Pansa, Bernardo Valli che, con altri collaboratori, lasciarono il quotidiano milanese[12]. All'inizio i lettori diedero ragione alla scelta editoriale: il Corriere di Di Bella continuò a vendere. Rizzoli, però, tra il 1977 e il 1979 compì scelte imprenditoriali sbagliate, che peggiorarono ulteriormente i conti del gruppo. Il quotidiano venne coinvolto in oscure vicende finanziarie, che emersero alla luce del sole nel 1981, quando scoppiò lo scandalo della loggia P2.[senza fonte] Il Corriere venne coinvolto al massimo livello poiché nell'elenco di personaggi pubblici affiliati alla loggia eversiva c'era anche il suo direttore, Franco Di Bella. Apparve così chiaro come la Rizzoli non fosse più da tempo la proprietaria reale: il quotidiano, già da qualche anno, era in mano al duo Roberto Calvi-Licio Gelli. Il tutto all'insaputa dell'opinione pubblica. Di Bella fu costretto alle dimissioni: fu il punto più basso nella lunga storia del quotidiano[13]. Nei due anni seguenti il Corriere perse 100.000 copie. Negli anni 1982-83 venne superato nelle vendite da La Gazzetta dello Sport perdendo il primato tra i quotidiani italiani: non accadeva dal 1904.

Gli anni Ottanta

I primi anni '80 sono un periodo di ristrutturazione del rapporto di fiducia del Corriere con i propri lettori. È opera soprattutto di Alberto Cavallari, direttore con un mandato triennale (1981-84). Il 18 giugno 1984 Cavallari consegna al nuovo direttore Piero Ostellino un giornale che ha ritrovato fiducia in se stesso e che è ritornato in testa alle classifiche di vendita. Alla fine del 1986 il Corriere perde per la seconda volta il suo storico primato: questa volta ad opera del quotidiano romano la Repubblica. La risposta di via Solferino è affidata ad un settimanale il cui numero uno esce sabato 12 settembre 1987 in abbinamento obbligatorio: Sette. Di grande formato, conta ben 122 pagine ed è in carta patinata. Il lancio avviene un mese prima dell'uscita del magazine del concorrente. L'iniziativa è un successo perché il numero del sabato del Corriere non va mai sotto le 900 mila copie ed arricchisce di molto la raccolta pubblicitaria.
Un nuovo capitolo della lotta per il primato si ha l'anno seguente: "Repubblica" lancia Portfolio, un gioco a premi; il Corriere risponde il 14 gennaio 1989 con Replay, che premia ogni giorno quattro biglietti giocati nelle lotterie nazionali che non sono risultati vincenti. La trovata ha un grande successo e le vendite del giornale in alcune città raddoppiano. Entro l'anno il Corriere raggiunge le 800 mila copie di media e ritorna ad essere il primo quotidiano italiano.

Gli anni Novanta

Con l'arrivo alla direzione di Paolo Mieli (1992-97) si avviò un ricambio generazionale. Mieli alleggerì il giornale abbandonando la distinzione tra "parte seria" e "parte leggera". In pratica la nuova formula previde la collocazione nelle pagine iniziali degli eventi importanti, anche non politici; maggiore spazio allo sport, agli spettacoli (spesso uniti alle pagine della cultura), ma anche all'economia. Mieli decise che la stagione dei giochi a premi era finita e lanciò un corso di inglese e francese su audiocassette. Successivamente spostò "Sette" al giovedì, abbinandolo ad un supplemento sulla tv. Tali iniziative ebbero successo e permisero al Corriere di consolidare il primato. Secondo i dati ADS, infatti, nel primo quadrimestre del 1993 il "Corriere" registrò una diffusione di 641.969 copie, che crebbe a 667.589 nel secondo. Il divario con "la Repubblica" si attestò sulle trentamila copie[14]. Durante tutto il dopo-Tangentopoli Mieli preferì mantenere una posizione di terzietà rispetto al dibattito politico. L'unico punto su cui si schierò fu il conflitto di interessi attribuito a Berlusconi, che vinse le Elezioni del 1994. Gli editoriali sull'argomento furono affidati al politologo Giovanni Sartori. Nel 1995, dopo la sfortunata avventura de La Voce, Indro Montanelli rientrò in via Solferino: erano passati 22 anni da quando aveva lasciato il Corriere per fondare un suo quotidiano. Al "principe" del giornalismo italiano venne affidata la pagina della corrispondenza quotidiana coi lettori [15].
Caduto Berlusconi, alle elezioni del 1996 prevalse il centro-sinistra. Repubblica e Corriere si trovarono a doversi confrontare sullo stesso terreno politico. La lotta fu aperta. I due quotidiani si posizionarono così: nettamente a favore del governo la prima, più critico il quotidiano milanese. Il 23 aprile 1997 Mieli venne nominato Direttore editoriale del Gruppo RCS e lasciò la direzione a Ferruccio De Bortoli.

Dal 2000 ad oggi

Nel 2001, in occasione del 125° anniversario, venne creata la Fondazione Corriere della Sera, con lo scopo di curare e aprire al pubblico l'archivio storico del giornale, e di promuovere iniziative in favore della lingua e la cultura italiana, nella penisola e all'estero. All'indirizzo [1], sono consultabili gratuitamente gli articoli pubblicati dal 1992 ad oggi. L'anno si concluse tragicamente: il 19 novembre fu uccisa in Afghanistan, sulla strada che collega Jalalabad a Kabul, l'inviata del Corriere Maria Grazia Cutuli, assieme ad altri quattro giornalisti. Il 29 maggio 2003 si verificò un nuovo avvicendamento alla direzione: al posto di De Bortoli arrivò Stefano Folli, caporedattore dell'edizione romana. Folli portò con sé a Milano alcuni collaboratori della cerchia di Repubblica: Sabino Cassese, Luigi Spaventa e Michele Salvati. Il quotidiano romano si rifece portando via al Corriere Francesco Merlo. La battaglia si svolse anche sul fronte dei prodotti commerciali allegati al quotidiano: Repubblica offriva cento opere letterarie e un'enciclopedia in venti volumi; il Corriere rispose con film e compact disc. Le vendite del giornale però non aumentarono, anzi il primato nella diffusione nazionale fu insidiato dal concorrente. Si decise quindi di richiamare in servizio Paolo Mieli: era il dicembre 2004. Una delle prime innovazioni del direttore fu la riduzione del formato del giornale, sull'onda di un cambiamento che stava coinvolgendo tutti i quotidiani "a nove colonne". Nell'aprile 2005 la dimensione delle pagine fu ridotta di tre centimetri, sia in larghezza che in altezza; le colonne passarono dalle tradizionali nove a sette, avvicinando il "Corriere" al formato berlinese. Venne modificato anche il corpo del carattere, in modo da rendere la lettura più agevole. Infine, nel luglio dello stesso anno, il colore fu inserito in tutte le pagine. Il 2006 fu un anno elettorale. Pochi giorni prima delle elezioni Mieli decise - novità assoluta per il Corriere - di schierarsi apertamente (in realtà era un auspicio di vittoria) in favore di una delle due parti politiche protagoniste della competizione elettorale, quella guidata da Romano Prodi. Una decisione, secondo Mieli, conseguente al giudizio particolarmente negativo sulle scelte politiche adottate dal Governo uscente di Silvio Berlusconi. Tuttavia tale scelta, secondo il direttore, "non impegna l’intero corpo di editorialisti e commentatori di questo quotidiano", ai quali, perciò, cercò di garantire l'indipendenza intellettuale. Il Corriere "vince" la campagna elettorale, ma nel giro di un anno perderà alcune migliaia di lettori. Due anni dopo (2008) il giornale milanese non prese alcuna posizione. La proprietà del quotidiano è divisa oggi tra undici imprese industriali, bancarie ed assicurative.

Denominazione delle testate

Un giornale con la denominazione Corriere della Sera, fondato dal 23enne Giuseppe Rovelli, fu pubblicato a Torino nel 1866, ma dopo solo due numeri (1° agosto e 2 agosto) il quotidiano cessò le pubblicazioni per mancanza di fondi[16].

Dal 5 marzo 1876 al 2 agosto 1943: Corriere della Sera [17]
dal 3 agosto 1943 al 25 aprile 1945: Corriere della Sera (martedì - domenica), Il Pomeriggio (lunedì)
26 aprile 1945: Il Nuovo Corriere (numero unico)
dal 27 aprile 1945 al 21 maggio 1945: Nessuna pubblicazione
dal 22 maggio 1945 al 6 maggio 1946: Corriere d'Informazione
dal 7 maggio 1946 al 9 maggio 1959: Il Nuovo Corriere della Sera (martedì - domenica), e Corriere d'Informazione (lunedì)
dal 10 maggio 1959 al 4 marzo 1962: Corriere della Sera (martedì a domenica), Corriere d'Informazione (lunedì)
dal 5 marzo 1962 ad oggi: Corriere della Sera

Variazioni dell'assetto proprietario

febbraio 1876 - da un accordo tra il giornalista Eugenio Torelli Viollier e l'editore, e uomo politico, Riccardo Pavesi nasce il Corriere della Sera. Il giornale è di proprietà della “Società della Lombardia”, editrice del quotidiano La Lombardia. Presidente della società editrice è Riccardo Pavesi. Torelli Viollier è direttore ed amministratore.

Per avviare il nuovo quotidiano si prevede che occorrano 100.000 lire. Pavesi trova due soci finanziatori: gli avvocati Riccardo Bonetti e Pio Morbio. Nonostante ciò vengono raccolte solo 30.000 lire. [marzo-aprile] - Riccardo Bonetti entra in magistratura ed abbandona la società.

1° settembre 1876 - il sodalizio tra Riccardo Pavesi e il direttore del quotidiano Eugenio Torelli Viollier si scioglie per divergenze politiche. La “Società della Lombardia” mette in vendita il giornale. Si costituisce una "società di fatto" (società civile secondo il Codice civile dell'epoca) per la rilevazione della proprietà. Il capitale sociale è di 45.000 lire, suddiviso in nove carature. Tre quote sono acquistate da Pio Morbio. Gli altri soci sottoscrivono una quota ciascuno: il duca Raimondo Visconti di Modrone, il marchese Claudio Dal Pozzo, il nobile Giulio Bianchi, il commendatore Bernardo Arnaboldi Gazzaniga, il cavaliere Alessandro Colombani.

Anche Riccardo Pavesi entra nella nuova società con una quota acquisita a titolo personale. Buona parte capitale è utilizzata per rilevare il Corriere, al costo di 22.000 lire[18].1° ottobre 1876 - la prima assemblea della nuova società conferma Eugenio Torelli Viollier (il cui nome non figura nell'atto costitutivo) come gerente responsabile. Il nuovo amministratore del quotidiano è Giuseppe Bareggi.

1882 - Primo investimento di Benigno Crespi (1848-1920, industriale milanese del tessile con interessi nei settori agricolo, elettrico, immobiliare) nel giornale.

Benigno, che ha sposato la sorella di Pio Morbio, Giulia, ne acquista una quota, proprio grazie alla parentela acquisita. Si ritira invece Riccardo Pavesi. Nei suoi primi sette anni di vita il giornale non è ancora riuscito a distribuire un utile ai propri soci.

1884 - Pio Morbio apre un'attività negli Stati Uniti e vi si trasferisce. Le sue quote vengono rilevate dal cognato Benigno Crespi. Torelli Viollier è alla ricerca di un nuovo socio che sostituisca gli attuali, che appaiono più interessati a salvare i propri investimenti che ad impegnarsi per l'affermazione del giornale sul mercato.

1885 - Il 30 marzo Torelli Viollier e Crespi fondano una nuova società, la E. Torelli Viollier & C. per la proprietà e la pubblicazione del giornale «Corriere della Sera»; è una società in accomandita semplice, in cui Crespi ha il ruolo di accomandante e Torelli Viollier di accomandatario. La società ha la durata di soli 6 anni ed un capitale di 100.000 lire. Torelli riceve per contratto uno stipendio di 10.000 lire annue; ha la piena responsabilità della linea politica del giornale e della scelta dei collaboratori. Crespi, che figura come socio di minoranza, è interessato alla sola gestione economica. Lo stesso 30 marzo la nuova società liquida i vecchi soci al costo complessivo di 70.000 lire. Alla fine dell'anno la gestione del Corriere è finalmente in utile, di circa 33.000 lire, che in pochi anni salgono fino a toccare quota 100.000.

1886-1893 - L'utile del Corriere raggiunge e supera le 220.000 lire annue. Per Benigno Crespi è ormai la maggiore fonte di guadagni, superando anche gli introiti dell'industria tessile. Nel 1891 la società viene prorogata fino al 1895.

1895 - Aumento del capitale sociale a 192.000 lire e proroga della società fino a 1905. Entrano due nuovi soci: Ernesto De Angeli (altro industriale tessile) ed il fondatore della Pirelli, Giovanni Battista. Il capitale è diviso in 16 quote di 12.000 lire ciascuna. Crespi ne conserva la metà, De Angeli e Pirelli ne sottoscrivono tre ciascuno, mentre Torelli si riserva le ultime due. Ogni quota dava diritto ad un voto, quindi Crespi disponeva di fatto del controllo della società. I nuovi soci chiedono un avvicendamento alla direzione, ma Crespi mantiene al suo posto Torelli Viollier.

1900 - Il 26 aprile muore Eugenio Torelli Viollier. L'atto di costituzione della società prevede, nel caso della sua morte, la continuazione della società e il riscatto della sua quota sociale. Il 13 luglio viene redatto un nuovo atto sociale. Il valore della società, diminuito delle quote di Torelli, scende a 168.000 lire. Il capitale sociale viene suddiviso in 56 carature, del valore di 3.000 lire ciascuna. Crespi ne sottoscrive 32, De Angeli 11, Pirelli 7, Beltrami (nuovo socio) 4, Albertini (nuovo socio) 2. I voti non sono più assegnati in proporzione alle quote di capitale, ma viene conservata la precedente proporzione. Benigno Crespi, quindi, mantiene il 50% dei voti in consiglio, nonostante possieda il 57% delle quote. La nuova società modifica la ragione sociale in L. Albertini e C. per la proprietà e la pubblicazione del giornale «Corriere della Sera» e di altre pubblicazioni e si rinnova dopo 5 anni. Luigi Albertini è insieme gerente responsabile e direttore amministrativo.

1907 - Muore Eugenio De Angeli, nelle cui quote subentra il nipote Carlo Frua. Il capitale sociale viene portato a 180.000 lire. Ne beneficia Albertini che sottoscrive 4 nuove quote. Inoltre Carlo Frua cede una caratura ad Alberto Albertini, fratello di Luigi.

1911 - Muore Benigno Crespi. Lascia le partecipazioni ai suoi figli Mario (1879-1962), Aldo (1885-1978) e Vittorio (1895-1963).

1911 - I fratelli Albertini acquistano tutte le quote di Pirelli, di Frua e di Beltrami, diventando così i soli comproprietari, assieme ai fratelli Crespi.

1925 - Il fascismo pone ai Crespi una scelta obbligata: estromettere gli Albertini o in alternativa il giornale sarà sospeso a tempo indeterminato. Attraverso un pretesto legale i Crespi rompono la società con gli Albertini ed acquistano la loro parte di proprietà.

1946 - La proprietà del quotidiano è sempre mantenuta dalla famiglia Crespi. Il capitale sociale è diviso tra i tre figli di Benigno: Aldo (il figlio maggiore, col 34%), Mario (33%) e Vittorio (33%).

1962-63 - Muoiono Mario e Vittorio Crespi. Le loro quote vengono cedute rispettivamente alla famiglia Agnelli, proprietaria della Fiat, ed al petroliere Angelo Moratti. La figlia di Aldo, Giulia Maria, eredita il 34% del giornale, la quota maggioritaria, e con essa ottiene la responsabilità della gestione editoriale.

1974 - Il 12 luglio Giulia Crespi cede la sua quota del giornale al gruppo Rizzoli, che poco dopo acquista anche le compartecipazioni di Agnelli e Moratti, battendo la concorrenza del petroliere Attilio Monti. Il nuovo proprietario unico, Angelo Rizzoli (successore del padre Andrea), ribattezza la società Rizzoli-Corriere della Sera (oggi Rcs MediaGroup). La famiglia Crespi esce definitivamente da via Solferino dopo 92 anni.

1981 - La RCS viene coinvolta nel dissesto del Banco Ambrosiano. Riesce però ad evitare il fallimento e nel 1982 viene posta in amministrazione controllata.

1984 - Il gruppo RCS, risanato, è acquistato da una cordata di cui fanno parte la finanziaria Gemina (holding posseduta dalla famiglia Agnelli) e Mediobanca. Fra i soci di Gemina vi sono anche il gigante della chimica Montedison e la finanziaria bresciana Mittel.
1986 - La RCS viene riorganizzata per comparti: il Corriere della Sera viene inserito nella RCS Quotidiani, che è tuttora la società editrice del quotidiano.

Direttori

Eugenio Torelli Viollier, febbraio 1876 - 31 maggio 1898 (gerente responsabile)
Alfredo Comandini maggio 1891 - novembre 1892 (direttore politico)
Andrea Cantalupi 1895 - maggio 1896 (direttore politico)
Luca Beltrami maggio-novembre 1896 (direttore politico)
Domenico Oliva 5 giugno 1898 - 23 maggio 1900 (direttore politico)
Luigi Albertini, 24 maggio 1900 - 29 novembre 1925
Alberto Albertini, fratello di Luigi, 1924 - 29 novembre 1925
Pietro Croci, 1925 - 1926
Ugo Ojetti, 1926 - 1927
Maffio Maffii, dicembre 1927 - settembre 1929
Tommaso Borelli, settembre 1929 - agosto 1943
Ettore Janni, agosto 1943 - ottobre 1943
Ermanno Amicucci, ottobre 1943 - aprile 1945
Mario Borsa, 26 aprile 1945 - 6 agosto 1946
Guglielmo Emanuel, 1946 - 1952
Mario Missiroli, 1952 - 1961
Alfio Russo, 1961 - 1968
Giovanni Spadolini, 1968 - 1972
Piero Ottone, 1972 - 1977
Franco Di Bella, 1977 - 1981
Alberto Cavallari, 1981 - 1984
Piero Ostellino, 1984 - 1987
Ugo Stille, 1987 - 1992
Paolo Mieli, 1992 - maggio 1997
Ferruccio De Bortoli, maggio 1997 - 14 giugno 2003
Stefano Folli, 15 giugno 2003 - dicembre 2004
Paolo Mieli, dicembre 2004 - oggi

Firme

Diffusione

Anno Copie vendute

2006

624.938

2005

619.897

2004

616.504

2003

613.103

2002

581.751

2001

598.997

2000

614.398

1999

620.126

1998

635.222

1997

669.515

1996

646.902

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Note

  1. ^ In realtà il Corriere ha un formato a metà tra il "lenzuolo" ed il berlinese
  2. ^ http://www.businessonline.it/news/4467/giornali-piu-letti-in-italia-cresce-corriere-della-sera.html
  3. ^ Solamente negli anni '80 il Corriere si doterà di una propria tipografia.
  4. ^ Tale consuetudine perdurerà fino al 1902.
  5. ^ Per avere notizie dall'estero, i giornali attingevano direttamente alla stampa straniera, sottoscrivendo degli abbonamenti annuali, come i comuni lettori.
  6. ^ Corriere della Sera, 16-17 dicembre 1878. L'impostazione partecipativa adottata dal giornale strideva però con la ritrosia del direttore verso le questioni interne: non venne mai pubblicata, infatti, nessuna notizia sulle variazioni dell'assetto proprietario del giornale, né prima dell'avvento di Benigno Crespi né quando (nel 1885) l'industriale cotoniero diventò il nuovo padrone del giornale.
  7. ^ Corriere della Sera, 8-9 dicembre 1885.
  8. ^ che gli permetteva anche di gestire in proprio la pubblicità, cosa che il Corriere riuscì a fare soltanto dalla fine degli anni '80.
  9. ^ Nel 1895 Albertini, studente di economia, si era introdotto nell'ambiente editoriale inglese facendo la conoscenza del direttore editoriale del Times, Moberly Bell.
  10. ^ Nel 1927 Il secolo, in crisi finanziaria, fu assorbito dal Pungolo, altro giornale milanese.
  11. ^ Nel dopoguerra seguiranno le collaborazioni di Eugenio Montale, Ennio Flaiano e Pier Paolo Pasolini, solo per citarne alcuni.
  12. ^ Tra i collaboratori che abbandonarono il Corriere figurano Umberto Eco, Franco Fortini e Natalia Ginzburg.
  13. ^ Episodio-simbolo delle vicende del Corriere in questo periodo fu la pubblicazione di un'intervista di Maurizio Costanzo, egli stesso membro della P2, a Licio Gelli. Nell'intervista, uscita il 5 ottobre 1980, Gelli parlò del suo progetto politico di "rinascita" dell'Italia. Spiccavano nel disegno del Gran Maestro l'abolizione del servizio pubblico radiotelevisivo e il controllo dei giornali più importanti.
  14. ^ La stampa italiana nell'età della tv,a cura di Valerio Castronovo e Nicola Tranfaglia, Laterza, Roma-Bari, 1994, pag. 48.
  15. ^ Montanelli tenne questa rubrica fino alla sua morte, nel 2001.
  16. ^ Matteo Collura. Il Corriere della sera di Torino. Corriere della Sera, 6 giugno 2000. URL consultato il 18/05/2008.
  17. ^ Storia del giornale
  18. ^ Andrea Moroni, Alle origini del Corriere della Sera, FrancoAngeli, 2005, pag. 34.

Bibliografia

Valerio Castronovo e Nicola Tranfaglia, La stampa italiana nell'età della tv. Roma-Bari: Laterza, 1994.
Franco Di Bella, Corriere segreto 1951-1981 Rizzoli.
Pasquale Jovino, I cinque lustri di Luigi Albertini al Corriere della Sera, 2004.
Massimo Mucchetti, Il baco del Corriere, Milano, Feltrinelli, 2006.
Andrea Moroni, Alle origini del Corriere della Sera, FrancoAngeli, 2005.

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