VILLA DEI VESCOVI |
«Villa dei Vescovi, sì - dice Giuliana D'Olcese, già Olcese - è proprio un'osmosi continua» |
passeggiando tra i Colli Euganei che avvolgono la splendida creatura cui ha ridato vita nel 1962, la Villa dei Vescovi, |
Scriveva La Repubblica Venerdì 20 Ottobre 2006: |
«Acquistata 21anni fa da Giuliana D'Olcese, la villa è stata ceduta al Fai. Una volta restaurata, dal 2007, verrà aperta al pubblico» |
Intervista a Giuliana D'Olcese |
di Daniela Russo LiberoReporter numero Aprile- Maggio 2009 |
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Luvigliano di Torreglia (Padova) - Giovedì 5 Marzo 2009
«Sì, ha ragione Elisabetta Saccomani, docente di Storia dell'Arte Moderna all'Università di Padova, questa creatura che abbiamo salvato dalla rovina, e che ho abitato per lunghi anni, è realmente una osmosi continua tra la magia che emana questo storico monumento di Giovanni Maria Falconetto ed il fascino del paesaggio incantato dei Colli Euganei. L'intreccio tra paesaggio, interni ed esterni monumentali della Villa dei Vescovi avvolgono in una dimensione magica tutti coloro che girano tra le magnifiche stanze del piano nobile e le logge affrescate dal Sustris, ammirano gli stucchi del Vittoria incastonati tra i timpani delle tre facciate principali e si inoltrano nel gioco architettonico esistente tra i terrazzati e le superbe scalinate, nell'intreccio del brolo con il pozzo in marmo di Verona e i portali monumentali che conducono ai vigneti, ai suoi orti ed al ninfeo disegnati da Andrea della Valle. Via via fino al piano terra con le 'volte a vela' disegnato dal Falconetto assieme al suo allievo diciottenne Andrea Palladio» dice Giuliana D'Olcese che nel 1962, assieme a suo marito Vittorio Olcese, acquistò la Villa dal Vescovo di Padova, Monsignor Bortignon, la restaurò e l'arredò in modo talmente esemplare da meritare, nel 1968, dall'American National Society of Interiors Decorators Foundation, il Primo Premio nel mondo per il miglior restauro ed il miglior arredo di un Monumento d'Arte. «Sono molto felice - continua Giuliana D'Olcese ammirando la Villa dall'alto di un colle - che dopo che gli ho dedicato tanto amore, tanta parte della mia vita e dei miei sacrifici, questo splendido monumento avviato ad una nuova fatale decadenza, Vittorio l'abbia donato al FAI realizzando così la decisione comune di lasciarlo in eredità allo Stato o ad una Fondazione come il FAI che, ne sono certa, lo conserverà con l'attenzione e l'amore necessari che avrei avuto io stessa». Signora D'Olcese, le è universalmente riconosciuto il fatto che, oltre ad essere già comproprietaria dell'intero complesso monumentale di Villa dei Vescovi, di averla restaurata anche con il mutuo e la supervisione dell'Ente Ville Venete e con il suo celebre gusto interamente arredata e decorata. Come spiega, allora, che ne' il FAI, ne' la presidente Giulia Maria Mozzoni Crespi, non l'abbiano mai citata negli articoli, nei libri, nelle news letter e sul sito internet del FAI? E' come se l'avessero cancellata dalla storia della Villa dei Vescovi: Giuliana Olcese? Mai esistita. Eppure tutto il mondo sa che il FAI conosce bene sia lei, sia la grande amicizia che legava lei e Vittorio alla signora Crespi, più volte ospite di entrambi, oltre che a Milano, anche in Villa. Non le sembra un po' grottesco? Un noir ottocentesco? «Tutto vero. Vede, in quanto allo staff del FAI, fare informazione è un mestiere che non s'improvvisa. E' necessaria una rigorosa deontologia professionale che non tutti seguono o osservano. Indispensabili sono rigore professionale, il documentarsi sui fatti così che la narrazione appaia fedele al modo in cui si sono svolti realmente. Oggi, con l'informazione, il rigore sono in pochi ad esercitarlo, si tira via, non c'è il gusto della ricerca, quindi si rischiano dei gran pasticci. In questo caso, però, basta consultare l'archivio della Conservatoria di Padova e si trova tutta la documentazione dei passaggi di proprietà della Villa». E la presidente del FAI? «Cosa vuole, Giulia Maria è una persona eccezionale, è l'anima del FAI, ma è gravata da mille responsabilità, da un lavoro davvero incessante. Se dovesse occuparsi anche di comunicati, redazione dei depliants, articoli, internet, news letter e testi dei libri non so se mi spiego... Sono compiti questi che spettano allo staff. Immagino il sangue amaro che si fa Vittorio da lassù; era così orgoglioso, e lo esternava a tutti, del rigore con cui feci restaurare e poi arredai la Villa. E' anche per questo che sono felice di essere intervistata da un giornale nazionale edito a Padova, città che con il Veneto, considero la mia seconda Patria». Ma se le cronache de La Repubblica l'hanno indicata come già comproprietaria dei Vescovi - proprietaria effettiva, non in quanto moglie di Olcese - quale ritiene sia il motivo del perseverare nel cancellare la sua persona dalla storia della Villa, nel tacere i fatti clamorosi che la riguardano? Eppure il FAI la conosce bene, lei ne è anche socio sostenitore, ha diramato un appello del FAI a favore dei restauri della Villa. «Non so cosa pensare, vede, a La Repubblica mi conoscono tutti. Eugenio e Simonetta Scalfari erano nostri amici sin dai tempi in cui, appena sposati, vivevano a Milano. Poi, quando Vittorio fu alla vice presidenza del Consiglio dei ministri nel I° Governo Spadolini, e nel II° vice ministro alla Difesa ed io detti due gran pranzi per lui, ministri e Spadolini compresi, ci siamo felicemente ritrovati tutti a Roma». A quel tempo, Vittorio Olcese era al secondo matrimonio? Sì, ma dopo le sfuriate della rottura del nostro matrimonio, eravamo in rapporti idilliaci. Della prima riconciliazione ne fu artefice proprio la nostra amica Giulia Maria Crespi che assieme a due grandi amici comuni, lo scrittore Gianni Testori e Carlo Ripa di Meana, invitò Vittorio e me nella sua casa di Milano e ci pregò di ritornare assieme perchè, disse, «la nostra città non deve perdere una coppia come siete voi due, noi amici vi vogliamo assieme». E, sul momento di andare via tutti e tre ci infilarono nell'ascensore in modo che rimanessimo da soli. Carlo Ripa di Meana se lo ricorda ancora. A Roma, finchè è rimasto in Parlamento - dopodichè lasciò Milano e si stabilì ai Vescovi ove si ammalò - assieme a nostra figlia Carolina ci frequentavamo molto e lui mi raccontava le segrete cose della politica, scandalo della P2 compreso. Andavamo per musei, gallerie d'arte, case dei comuni amici. E ripensavamo e commentavamo gli eventi che mi avevano condotta a cedergli la mia parte di proprietà dei Vescovi ed alle condizioni, non reali, con cui ne fu redatta la scrittura notarile. Condizioni da me accettate pro bono pacis, per chiudere le questioni ereditarie. A quei tempi, il diritto di famiglia non era stato ancora riformato. Trascorso del tempo e ritrovatici a Roma, Vittorio mi diceva con infinita tristezza che Villa dei Vescovi nessuno mai l'avrebbe amata e curata quanto me. E' avviata al declino, mi diceva, il nostro capolavoro devo salvarlo. Non avresti dovuto cedermi la tua metà a quelle condizioni capestro, oggi tutto ciò per me è un'angoscia». Circa la donazione il FAI, per anni, ha diffuso notizie contraddittorie. Una volta la donazione era attribuita a Vittorio Olcese, la volta dopo invece alla vedova ed al figlio Pierpaolo, la volta dopo ancora a Vittorio Olcese e così via. Conosce il motivo di questo giallo nel giallo? «E' un giallo, infatti. Forse, scambiando esecutori testamentari per donatori, o forse per altri obiettivi, non so. Consideri che per il passaggio di proprietà dei Vescovi al FAI, nostra figlia Carolina ha dovuto firmare. E' lì che ha appreso di essere coerede, tra l'altro, della collezione d'arte tra cui erede di uno splendido quadro di Francis Bacon. E tutto ciò con strascichi legali. Quindi, immagino, che se la Villa fosse stata donata dagli eredi del secondo matrimonio non si sarebbe resa necessaria la firma dell'erede del primo. Lapalissiano no?». Sua nipote Ilaria de Cesare donerà qualche opera al FAI? «No, non più. Sa come sono i giovani, orgogliosi fino al midollo, se gli salta la mosca al naso non sono come noi adulti, pazienti, tolleranti. Credo che donerà opere di Martini al Museo di Brera, a Milano. Ilaria e mia sorella Stella infatti hanno trascorso molti anni a Milano ed ai Vescovi con me, Vittorio e Carolina. Penso che i Martini li donerà a Brera in nostra memoria. La sua famiglia, per Ilaria, è sacra e poi mi è molto affezionata». E lei? «Intende donazioni al FAI?». Daniela Russo |
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La Repubblica Cronaca - Venerdì 20 Ottobre 2006 Pag 6 |
IL GRAN GALA' DEL FAI SALVA LA VILLA DEI VESCOVI |
Acquistata 21 anni fa da Giuliana D'Olcese, |
la villa è stata ceduta lo scorso anno al Fai |
L'evento. Il FAI Fondo italiano per l'ambiente è
presieduto da Giulia Maria Mozzoni Crespi |
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Quattrocento commensali, quaranta tavoli, 400.000 euro incassati
solo per la partecipazione alla cena di gala, tutti da devolvere al
restauro della cinquecentesca Villa dei Vescovi di Luvigliano di Torreglia,
in provincia di Padova. Ieri sera, per una delle sue iniziative di conservazione
del patrimonio artistico, il Fai, Fondo per l'ambiente italiano, ha
scelto per una volta un'occasione mondana, di quelle che a Milano un
tempo aprivano, in autunno, la stagione dei ricevimenti. |
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La contessa dell'Ulivo: ho un debole per Andreatta
e Ciampi 4 lug 1997 ... Lei è Giuliana Olcese, nata de Cesare, contessa "un po' napoletana ...Sposatasi a 18 anni con Vittorio Olcese, industriale e poi esponente ... archiviostorico.corriere.it/1997/luglio/04/contessa_dell_Ulivo_debole_per_co Corriere della Sera Archivio storico 4 Luglio 1997 Pagina 2 PARLA GIULIANA OLCESE La contessa dell'Ulivo: ho un debole per Andreatta e Ciampi "Come è piaciuto il mio ceci e cozze ai professori" |
ROMA - Per prima cosa tiene a precisare che nel suo salotto "entrano solo
la politica, l'arte e la cultura". Subito dopo che i grandi leader di partito
non sono bene accetti nella sua casa: "Limitano la libertà di ognuno di
esprimere ciò che vuole". Infine, che la politica è la sua vera, grande, immensa
passione. Da giocare a sinistra:
>"Una delle cose di cui vado maggiormente fiera è una lettera da Palazzo Chigi in cui mi si nomina "grande elettrice dell'Ulivo", al pari del sottosegretario Parisi". Lei è Giuliana Olcese, nata de Cesare, contessa "un po' napoletana, un po' irlandese, un po' tedesca", animatrice di uno dei salotti più ambiti della capitale nonchè coordinatrice del Movimento per le Riforme costituzionali, gruppo di cui fanno parte sindaci, politici, professori di area Ulivo (ma non solo), impegnato nella battaglia per "riformare la riforma" partorita dalla Bicamerale. Attivissima, ciarliera, energica. Il suo salotto romano ha ospitato, dice orgogliosa, "tutti i presidenti del Consiglio dall'80 ad oggi", Berlusconi escluso. "Come facevo a invitarlo? Io stavo organizzando l'Ulivo!". In passato, le frequentazioni non erano da meno. Sposatasi a 18 anni con Vittorio Olcese, industriale e poi esponente del Pri, si trasferisce a Milano e li' con il marito riceve il bel mondo laico e di sinistra dell'epoca: da Ugo La Malfa a Giovanni Spadolini, da Giulia Maria Crespi a Alberto Mondadori, da Giangiacomo Feltrinelli a Nanni Ballestrini. "Insomma, il centrosinistra nacque a casa nostra", dice lei convinta. E aggiunge: "La Crespi e La Malfa si conobbero a casa mia, e lei per averlo fatto scrivere sul Corriere venne accusata di comunismo". Ma in quel salotto passavano anche i nomi dell'arte e della cultura: "Ricevevo Allen Ginsberg, Andy Warhol, Truman Capote e poi Giacometti, Otto Dix, Francis Bacon: Milano un tempo era una città viva, ora è in mano ai sarti...". Più tardi, il divorzio dal marito e l'esperienza "più dura della mia vita: fui processata davanti al Santo Uffizio per adulterio. Fui l'ultima donna italiana, alla fine degli anni 70, a dover subire un trattamento del genere. Dopo quell'esperienza niente mi fa paura: figuriamoci i politici...". La sua attività politica recente ha radici non a Montecitorio, ma nel movimento referendario di Segni prima, e nella Convenzione dei sindaci democratici da lei organizzata e da lei tenuta in piedi grazie al legame con l'Associazione nazionale dei sindaci, l'Anci, presieduta da Enzo Bianco, suo grande amico. E proprio dei sindaci, e delle "sindache" ("Ce ne sono tante in trincea, soprattutto al Sud") la Olcese parla con più trasporto: "Nelle loro mani c'è il futuro del Paese". Quelli di centrosinistra li adora tutti. Ma due più degli altri: "Bassolino, che è un grande re borbonico democratico di sinistra e Fistarol, il "piccolo" sindaco di Belluno che ha la stoffa del leader". Poi ci sono i politici: "A casa mia vengono praticamente tutti i ministri del governo Prodi: da Ciampi e Dini, in onore dei quali ho dato due pranzi poco tempo fa, da Bassanini alla Finocchiaro, da Napolitano a Maccanico, a Treu, a Fantozzi. I preferiti? "Andreatta più di tutti: ironico, un cervello libero, anticonformista, per niente attaccato alla poltrona. Poi Ciampi, la vera grande testa del governo Prodi. Giorgio e Clio (i Napolitano, ndr), sono miei carissimi amici. Veltroni? Lasciamo perdere... mi ha deluso. Prodi? Meglio non commentare... Giudizio sospeso". I leader di partito no, da lei non vanno: "Non li chiamo". Ma ci sono i vice: "Marco Minniti e Gianni Letta vengono spesso". Non solo sinistra dunque in casa Olcese: "Macchè: ci sono Urbani, Calderisi, Rebuffa". E poi il mondo economico: "Da Padoa Schioppa a Fabiano Fabiani, da Monorchio a Draghi". E che si mangia in cotanti pranzi? "Quando posso, cucino io personalmente. Una specialità? Ceci e cozze, ieri i professori le hanno divorate...". Di Caro Paola Pagina 2 |
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Salotti e testimonial, tramonto referendario |
Anche nei
migliori pensatoi romani la delusione è forte. Giuliana
Olcese rivela un dato che le fu premonitore: «Ho capito che il quorum
non ci sarebbe stato ... archiviostorico.corriere.it/2000/maggio/23/Salotti_testimonial_tramonto_ |
Corriere della Sera Salotti e testimonial, tramonto referendario Archivio storico 23 Maggio 2000 Pagina 2 |
PROPAGANDA |
Salotti e testimonial, tramonto referendario |
REFERENDUM & PROPAGANDA Salotti e fiancheggiatori, la via
del tramonto |
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In Corriere.it CORRIERE DELLA SERA.it Archivio Corriere della Sera > Archivio > "Basta, chiudo il salotto, non avranno più neanche un piatto di minestra" |
Corriere della Sera Archivio storico 9 febbraio 1999 |
L'ira della Olcese: mi hanno deluso
tutti. Verusio furibonda: sindaci ingrati, li abbiamo creati noi. |
"Basta, chiudo il salotto, non avranno più neanche un piatto di minestra" |
ROMA - "Ingrati, ingrati, ecco cosa sono - scandisce Sandra
Verusio, la marchesa più rossa di Roma - Rutelli, Cacciari...
Se non li inventavamo noi, chi li votava? Cacciari, per carità,
è una splendida intelligenza, ma di una supponenza... Compagno,
compagno... Se va al ristorante persino al cameriere viene voglia di
tirargli in testa il piatto con la minestra". Se Sandra Verusio
si abbandona all'amarezza è solo perchè "non ne posso
più di questa politica messa in moto dai rancori". |
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FAI, a Milano un gran galà per salvare la Villa dei Vescovi |
Monumento nazionale donato al FAI da Vittorio Olcese |
LBEROREPORTER - PADOVA - OTTOBRE 2006 |
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Racconta Giuliana D'Olcese - che ne è stata proprietaria
e l'ha curata per ventuno anni fino al momento in cui, trasferitasi
a Roma, ha ceduto la sua metà all'ex marito Vittorio Olcese -. |
«Uomini in smoking, - hanno scritto le pagine di La Repubblica
- signore in lungo secondo il desiderio di un comitato promotore tutto
al femminile messo insieme dalla presidente del FAI, Giulia Maria Mozzoni
Crespi. Ne fanno parte Silvia De Benedetti, Stefania Alessandri, Natalia
Aspesi, Elena Bazoli, Silvia Boeri, Laura Colnaghi, Emmanuelle De Benedetti,
Lilli Gruber, Olivia Magnoni, Miuccia Prada, Giulia Puri e Sabina Ratti
Profumo. Alla serata hanno dato la loro adesione, fra gli altri, personaggi
del mondo dell'economia come Giovanni Bazoli, Carlo De Benedetti, Francesco
Micheli, Alessandro Profumo e Carlo Puri Negri, della moda come Patrizio
Bertelli e Mariuccia Mandelli, della cultura come Inge Feltrinelli,
il giornalista Gad Lerner, l'architetto Gae Aulenti. |
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Ottobre 2006 |
Villa dei Vescovi http://www.finesettimana.it/villa.asp?id=00073 |
A pianta quadrata, fu costruita per volontà del Nobil veneziano
Alvise Cornaro, collaterale di Caterina Cornaro Regina di Cipro, che
ne commissionò il progetto architettonico a Giovanni Maria Falconetto
ed al suo giovane apprendista di bottega Andrea Palladio. Per l'occasione
Falconetto e Palladio si recarono a Roma e, dopo aver eseguito i rilievi
architettonici delle maggiori antichità romane, progettarono
il «Palazzo dei Vescovi». |
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Come salvare un
Monumento d'Arte con il 5x100 devoluto al FAI |
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La Villa dei Vescovi, gioiello architettonico edificato nel '500
e donata al FAI da Vittorio Olcese, imprenditore, amante delle
arti, collezionista, uomo politico e Sottosegretario al Consiglio dei Ministri
nei due Governi Spadolini, fu venduta dal Vescovo di Padova Monsignor Bortignon
e acquistata in comproprietà, e interamente restaurata con il contributo
dell'Ente Ville Venete, da Vittorio e Giuliana Olcese con il
reciproco impegno che un giorno divenisse Bene pubblico
museografico e culturale. Vittorio affidò alla moglie Giuliana
la supervisione dei lavori di restauro durati due anni, la cura, la scelta degli
arredi e degli ornamenti e la regia scenografica della Villa. Già negli anni in
cui Vittorio e Giuliana vi soggiornavano con la figlia Carolina la Villa era
aperta al pubblico ed ospitava eventi pubblici, concerti, rappresentazioni
teatrali, convegni letterari, mostre d'arte, artigianali, gastronomiche. La Villa era frequentata da critici come Roberto Longhi, David Carret, Franco Russoli e Giuseppe Fiocco, artisti, commediografi e scrittori come Truman Capote, Gianni Testori, Pierpaolo Pasolini, Guido Piovene ed Elio Vittorini, architetti come Ignazio Gardella e Ludovico Caccia Dominioni, scultori come Henry Moore e Alberto Giacometti, pittori come Andy Warhol, Renato Guttuso e Francis Bacon, imprenditori ed editori come Giangiacomo Feltrinelli, Valentino Bompiani, Alberto Mondadori, Carlo Caracciolo e Nino Cerruti, politici italiani e stranieri, di destra e di sinistra da Sir Desmond e Lady Diana Guinness, fino ai repubblicani Ugo la Malfa e Giovanni Spadolini, da Gianni de Michelis a Sir Oswald Mosley - leader delle "Camicie nere" inglesi fondatore e capo della British Union of Fascists - con la leggendaria moglie, Lady Diana Mitford Mosley, scrittrice, detta da Winston Churchill «Lady Dinamite», ed editrice del Guinness of Records avendo sposato in prime nozze il miliardario Brian Walter Guinness. Lady Diana era tanto amica e ammiratrice del Führer che chiamò il suo bassotto «Svastica». E inoltre da sua sorella Lady Deborah con il marito duca di Devonshire, «il Principe nero» Valerio Junio Borghese, già Comandante della X Flottiglia MAS e passato alla storia come autore de «il golpe dell'Immacolata», o «il golpe Borghese», Mario Capanna leader di Lotta Continua e i «terroristi» Toni Negri e Nanni Sabbatini fino a registi come Luchino Visconti, Beni Montresor e Nando Scarfiotti, attori come Monica Vitti, Marcello Mastroianni, Claudia Mori e Adriano Celentano, e tante altre personalità che hanno segnato le cronache e la storia degli ultimi decenni. La Villa dei Vescovi, i cui frontoni poggiano su maestose mezze colonne ioniche, è immersa nel verde dei Colli Euganei e fu edificata nel 1527 come residenza estiva del Patrizio veneziano Cardinal Francesco Pisani Vescovo di Padova. A pianta quadrata, fu costruita per volontà del Nobil veneziano Alvise Cornaro, collaterale di Caterina Cornaro Regina di Cipro, che ne commissionò il progetto architettonico a Giovanni Maria Falconetto ed al suo giovane apprendista di bottega Andrea Palladio. Per l'occasione Falconetto e Palladio si recarono a Roma e, dopo aver eseguito i rilievi architettonici delle maggiori antichità romane, progettarono il «Palazzo dei Vescovi» a «pianta di Vitruvio» con cortile interno a cielo aperto, colonnato, arcate e loggette perimetrali ed un pozzo centrale alimentato dalle sorgenti degli Euganei. Qualche anno dopo è ad Andrea della Valle che fu commissionato il progetto delle imponenti scalinate e terrazze che circondano l'intero complesso monumentale e che costituiscono un mirabile esempio architettonico di stile rinascimentale veneto che si distingue dalle Ville Venete per il suggestivo gioco di gradinate, terrazze, sottostanti fornici, un ninfeo e da un doppio ordine di bellissime arcate intervallate da eleganti paraste su cui poggia un fregio ornamentale del Vittoria ornato con metope, triglifi, bucrani e figure mitologiche in stucco bianco che si stagliano sul fondo rosa delle facciate in un magico effetto di luci ed ombre. Fu nel Settecento che il cortile interno fu chiuso per creare il tradizionale salone centrale veneziano e quattro nuove stanze. La barchessa, o rustico, ha un lungo porticato ad ampi archi comprendente uno dei tre portali timpanati che si affacciano sul brolo recintato ed arricchito da tre portali monumentali ornati con lo stemma della famiglia Pisani che immettono in una splendida area all'italiana con un antico pozzo in mattoni di cotto e marmo di Verona. Il piano nobile e le splendide logge esterne sono interamente affrescate con decorazioni floreali e paesaggi, vigneti, figure umane e scene mitologiche opera del pittore fiammingo Lambert Sustris - metà del sec. XVI - mentre il piano terra, ove si avverte la pianta originale a «pianta di Vitruvio», è caratterizzato dalle volte a botte e a vela, dalle finestre palladiane dette «a bocca di lupo», dai resti dell'antico pozzo che era posto al centro del cortile interno in marmo rosa di Verona e da splendide vasche da bagno e lavabi in marmi colorati di Vicenza alimentati da getti d'acqua zampillanti da antiche maschere cinquecentesche in terracotta a bocca di leone. La Villa dei Vescovi, assai più che una villa veneta, ricorda le architetture del Rinascimento Romano come il Palazzo di Caprarola, la Villa Lante della Rovere a Bagnaia, entrambe in provincia di Viterbo, e il Palazzo Farnese a Roma. Il complesso monumentale della Villa dei Vescovi è recentemente divenuto "Bene del FAI" Fondo per l'Ambiente Italiano e, in attesa di nuovi indispensabili restauri, le visite sono sospese. La riapertura è prevista entro il 2007. Invito e proposta di Giuliana D'Olcese La Villa dei Vescovi, il più grande amore artistico della mia vita, è stata per me un'occasione unica di poter riportare agli antichi splendori una grande opera d'arte. Un Monumento italiano, e veneto, da salvare e tramandare ai posteri. Per non commettere errori filologici mi applicai giorno e notte allo studio de «I quattro Libri delle Architetture» di Andrea Palladio. Già l'acquisto della Villa fu una vera avventura. La Villa era bene della Chiesa perciò non alienabile ma, Monsignor Bortignon, una delle tante vittime di «Giuffrè il banchiere di Dio», avendo perso il patrimonio prestato al Giuffrè, patrimonio mai reso con gli interessi promessigli, fu costretto a venderla. La Curia di Padova, con quell'investimento, sperava di donare alla città l'asilo per bambini minorati o disabili. E potrei raccontare delle mie visite in Vaticano per ottenere con l'aiuto di Novello Papafava, cugino di Giulio Sacchetti Cameriere segreto del Papa, «il rilascio» e l'uso della Villa. Bortignon l'aveva venduta senza l'autorizzazione del Vaticano e il Vaticano ci negava il permesso di entrarne in possesso. Da quando la Villa fu edificata come residenza estiva del Vescovo di Padova Cardinal Francesco Pisani, sono stata la prima donna ad abitarla facendone un vero capolavoro di atmosfere e di regia tanto che l'Associazione degli architetti e degli interiors decorators USA mi assegnò il premio annuale per il miglior restauro nel mondo consegnatomi all'Accademia Querini Stampalia, Venezia, con una suggestiva cerimonia. Tra architetti e interior decorators, vennero in Italia in trecentocinquanta con due aerei speciali e organizzarono una lunga sfilata di gondole con musici, serenate, corolle di fiori, cartelli del premio, il nome della Villa e i nomi di Vittorio Olcese e mio. Non si può immaginare quale avventura meravigliosa furono per me i restauri della Villa. Del magnifico edificio ricordo e conosco ogni pietra, ogni mattone, ogni tubo, ogni segreto. Tra muratori, idraulici, stuccatori, affrescatori, falegnami, maestri vetrai, maestri del marmo e intagliatori della pietra, vi lavorarono 60 operai al giorno per due anni. Ed io sempre la' con loro. E, quando i restauri furono ultimati, reinventai la «Vita in Villa» come la aveva magnificata e immortalata il Ruzzante grande amico e maestro di vita di Alvise Cornaro. Scrive il Vasari: «Se vuoi vivere da Principe, vieni nel Palazzo dei Vescovi a Luvigliano». Dalla Villa dei Vescovi passavano tutti e di tutto. Giulia Maria Crespi, ora Presidente del FAI, fu nostra ospite e se ne innamorò Una delle mie grandi gioie è stata che un'altra famiglia milanese sia entrata in possesso della Villa dei Vescovi perchè, anche se è del FAI, moralmente la Villa è molto di Giulia Maria. E lei ha il grande merito di averla salvaguardata rendendola al mondo come volemmo Vittorio Olcese ed io che, quando la acquistammo, decidemmo di comune accordo che l'avremmo lasciata in eredità ad una Fondazione o allo Stato perchè si conservasse per sempre. Perchè il sogno, e non solo quello di Villa dei Vescovi, continui, si può aderire al al FAI e all'appello "un Monumento FAI da te xTe" contribuendo così a salvare il patrimonio artistico dell'Italia più bella senza rinunciare a destinare l'8x1000 allo Stato o alle Confessioni religiose. Il 5x1000, infatti, non sostituisce in alcun modo l'8x1000. Giuliana D'Olcese |
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Milano, il gran galà del Fai salva la Villa dei Vescovi |
«Quando la comprammo», racconta Giuliana D'Olcese che ne è stata proprietaria per ventuno anni, «era in rovina, non c'erano nemmeno i vetri». |
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La Repubblica - 20 ottobre 2006 pagina 41 sezione: CRONACA |
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«Villa dei Vescovi, un'osmosi continua», |
1968: Primo
Premio dell'anno per il miglior restauro e arredo nel mondo |
«Donandola al FAI abbiamo rispettato il desiderio di papà così che la villa possa essere aperta al pubblico» ha infatti dichiarato alla stampa Pierpaolo Olcese figlio del secondo matrimonio di Vittorio Olcese. |
La Villa dei Vescovi fatta
erigere dal Cardinal Francesco Pisani nel XVI secolo donata al FAI da
Vittorio Olcese |
Villa dei Vescovi, un'osmosi continua |
Intervista a Elisabetta Saccomani |
Una sensazione di diletto e
rassicurazione dai mali quotidiani. Queste le emozioni che gli splendidi
affreschi di Villa dei Vescovi a Luviglaino (PD) realizzati da Lamberto Sustris
sono in grado di suscitare ai visitatori. Come sottolinea Elisabetta Saccomani,
docente di Storia dell'Arte Moderna all'Università degli Studi di Padova, il
ciclo di affreschi recentemente restaurato dal FAI “è di grandissima importanza
perché, in un periodo in cui Padova si poneva all'avanguardia nella diffusione
del linguaggio della Maniera centroitaliana, anticipò e contribuì all'esplosione
del fenomeno della decorazione delle ville nel Veneto”.
La luce del sole penetra dalle finestre fino a sfiorare i paesaggi dipinti che sfondano illusionisticamente le pareti e si aprono nelle finte arcate delle logge che duplicano quelle reali, in un'osmosi continua tra interno ed esterno. L'aria risuona di antichità classica, rievocata dai trofei, le finte statue nelle nicchie, le grottesche. Ieri, come oggi, gli splendidi affreschi di Villa dei Vescovi a Luvigliano (PD) sono in grado di infondere in chi li guarda una sensazione di diletto e rassicurazione dai mali quotidiani della vita cittadina, spingendo a quel prezioso “otium” e alle passeggiate filosofiche raccontati da Vitruvio. Una magia moderna resa possibile dall'impegnativo lavoro di restauro realizzato grazie al sostegno di Arcus e affidato dal FAI a Pinin Brambilla Barcilon, che ha permesso di riportare all'originario splendore il ciclo di affreschi a opera dell'olandese Lamberto Sustris, emersi da un oblio di secoli a metà degli anni '60, quando Vittorio Olcese acquistò la Villa padovana progettata da Giovanni Maria Falconetto e la fece restaurare. Provate da oltre quattro secoli di storia e gravemente mutilate da un lavoro di ristrutturazione molto cospicuo e pesante a metà del Settecento, che aveva sacrificato vaste porzioni degli affreschi a vantaggio di una redistribuzione degli spazi, le pitture si presentavano in una situazione piuttosto grave, con sollevamenti, strati di sporco, cadute e forti alterazioni cromatiche. Grazie all'intervento del FAI, è stato possibile far emergere le pitture originali, restituendo buona leggibilità al ciclo di affreschi. Un ciclo che, come spiega Elisabetta Saccomani, docente di Storia dell'Arte Moderna all'Università degli Studi di Padova e membro del comitato scientifico istituito dal FAI per l'occasione, “è di grandissima importanza perché, in un periodo in cui Padova si poneva all'avanguardia nella diffusione del linguaggio della Maniera centroitaliana, anticipò e contribuì all'esplosione del fenomeno della decorazione delle ville nel Veneto. Un fenomeno che avrà il suo culmine negli affreschi di Paolo Veronese a Maser, nella marca trevigiana, e che si basava sulla grande sintonia tra architettura e decorazione, tra esterni e interni, all'insegna di un sapore antichizzante molto forte e dichiarato. Pressoché unica testimonianza rimasta delle decorazioni di villa degli anni quaranta del Cinquecento, il ciclo di affreschi di Villa dei Vescovi esprime proprio questa assoluta sintonia tra la villa e il luogo incontaminato tra i colli Euganei in cui è immersa”. Non è un caso che, probabilmente convocato da Alvise Cornaro, amministratore della curia padovana, fu proprio un artista come Lamberto Sustris a decorare la Villa di Luvigliano, dispiegando sulle pareti tutti i motivi decorativi propri del repertorio ornamentale di gusto classicistico, messo a punto e fatto rivivere da Raffaello a Roma, e diffuso poi a Genova da Perin del Vaga e a Mantova da Giulio Romano. “Lamberto Sustris - conferma Elisabetta Saccomani - era l'interprete ideale per affrescare una villa così all'antica. L'artista olandese, pittore moderno alfiere del raffaellismo che era stato da poco in visita a Roma, fu un interprete molto originale, capace di realizzare continue variazioni sul tema, fondendo il paesaggio romano vitruviano, con l'inserzione di rovine della Roma antica immerse nella natura, con il paesaggio più arcadico e agreste di Tiziano. Una fusione che costituì un elemento di novità e di fascino”. Il tema del paesaggio, molto praticato nell'antichità, era stato resuscitato da Raffaello nel contesto di un generale recupero delle tipologie decorative antiche, scaturito dalla scoperta della Domus Aurea di Nerone. “Proprio a partire da Sustris - conclude la Saccomani - il tema del paesaggio diventa un elemento qualificante di quel revival dell'antico, che permea tutta la cultura artistica dei decenni centrali del Cinquecento nel campo specifico delle decorazioni parietali della villa”. Un tema che, dunque, si sposa alla perfezione con il compito pensato originariamente per Villa dei Vescovi: un luogo dove coltivare le necessità dell'intelletto, un rifugio di pace e tranquillità armoniosamente immerso nella natura. <<Nota all'articolo di Luca de Leone di Giuliana D'Olcese de Cesare>>
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