VILLA DEI VESCOVI

LA BATTAGLIA DI LISSA 18-20 LUGLIO 1866

«Uomini di ferro su navi di legno, hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro»
Al momento dello speronamento, Tegetthoff disse in Veneto al Vianello «daghe dentro, Nino, che i butemo a fondi!»

di Gigio Zanon
Dal rapporto dell’ammiraglio Willelm von Tegetthoff, «Brogliaccio» di bordo della «Ferdinand Maximilian»

Lissa è una piccola isola situata di fronte alla costa Dalmata, conosciuta fin dall'antichità come Issa e più volte nominata dai Greci. E' stata base navale della Repubblica di Venezia dal XI secolo fino alla sua caduta, il 12 maggio 1797, ad opera del nefando Napoleone. Fu ceduta, dopo Il trattato di Campoformido, all'Austria nell’agosto dello stesso anno, assieme agli altri possedimenti d'ltre mare di Venezia. Nel 1866, l'8 di aprile, a Berlino si celebrava il Trattato della triplice alleanza fra l'allora regno d’Italia, la Prussia e la Francia, in base al quale "entro tre mesi" si doveva dichiarare guerra all'Austria. Il 16 giugno (seppure con otto giorni di ritardo…), con il proclama di Vittorio Emanuele II, veniva dichiarata la guerra, e il giorno 24 successivo a Custozza l'esercito Italiano veniva sconfitto da quello Austriaco in una memorabile battaglia. Nell'esercito Austriaco vi erano numerosissimi soldati Veneti e comandati da ufficiali dell'ex Patriziato Veneto quali -fra gli altri- nomi come: Barozzi, Orseolo, Moro, Da Mosto, Cicogna, ecc.
L'esercito Italiano operava una "ritirata strategica" fino oltre il Po, per difendere l'allora capitale: Firenze. Senonchè fra il 16 e il 28 di giugno, le armate Prussiane invadevano l'Hannover, la Sassonia e l'Assia e il 3 luglio sconfiggevano l'esercito Austriaco a Sadowa. Il Comandante delle truppe Austriache in Italia, l'Arciduca Alberto, visto che l'esercito Italiano si era dileguato, marciò a tappe forzate verso Vienna per difenderla dalle truppa Prussiane, perciò lasciò quasi completamente sguarnito il Veneto. Ma nel corso dell'avvicinamento su Vienna la sua retroguardia incontrò, a Bezzecca nel Trentino, le truppe di Garibaldi: è da notare che l'artiglieria Austriaca non si trovava sul posto bensì aveva già oltrepassato i valichi, pertanto non fu difficile al Garibaldi sconfiggere detta retroguardia…
Due giorni dopo la disfatta di Sadowa, Francesco Giuseppe chiese l'armistizio e pur di concluderlo offrì di cedere il Veneto alla Francia, la quale lo avrebbe dovuto "girare" agli Italiani…
Gli Italiani erano contrari a questa proposta perché umiliava le loro forze armate e, vista la penosa condizione dell'esercito dopo la dura batosta di Custozza, hanno puntato sulla marina per poter riportare una vittoria sul nemico che consentisse loro di finire onorevolmente (una volta tanto…) la guerra.
Anche il primo Ministro, Bettino Ricasoli, era contrario a ciò, in quanto asseriva che «il Veneto non andava acquistato, ma conquistato!»
Egli, continuando i suoi calcoli dallo scrittoio di Firenze, telegrafò all'ammiraglio Persano dicendo: «E' indispensabile che fra una settimana la flotta austriaca sia distrutta". Ma non tennero conto di una cosa molto importante: la flotta austriaca era composta, nella quasi totalità, da equipaggi provenienti dalle terre una volta soggette alla Repubblica di Venezia: dal Veneto, dal Friuli, dall'Istria, dalla Dalmazia, oltre che da Trieste e da Oltremare, e tutti gli ufficiali avevano studiato presso la I.R.
Scuola del Collegio Navale di Venezia: ad iniziare dall'ammiraglio comandante Willhelm von Tegettoff, il quale, benchè fosse in tutto e per tutto un Deutschosterreicher, era registrato a chiare lettere nell'apposito registro come Guglielmo Tegetthoff questo lo si può ancora vedere presso l'archivio dell'attuale Collegio Navale Francesco Morosini di Venezia.
Inoltre tutti gli ufficiali erano a perfetta conoscenza della lingua Veneta, al punto che gli ordini venivano in lingua Veneta! Bisogna anche tener conto di un altro fattore: prima del 1797 non esisteva una marina Austriaca, ed è dopo quella data che nasce col nome di «OSTERREICH - VENEZIANISCHE MARINE» (Imperiale e Regia Veneta Marina), composta da ufficiali e marinai provenienti dalle terre della ex Repubblica di Venezia, i quali avevano ben recepite le sue millenarie tradizioni marinare, militari, culturali e storiche.
E, come già detto, la lingua corrente era quella dei Veneti e a tutti i livelli. Nel 1849, dopo la rivoluzione Veneta capitanata da Daniele Manin, vi era stata una "austriacizzazione" nella denominazione ufficiale e l'espressione "Veneta" venne tolta; inoltre fra gli ufficiali vi era stato un certo ricambio ed il tedesco era sì diventato la lingua primaria, ma non fra gli equipaggi. Infatti questo cambiamento non poteva essere fatto in così breve tempo. I nuovi marinai continuavano ad essere reclutati nelle terre Venete dell'impero asburgico, e non certamente nelle regioni Alpine o Austriache. Possiamo dire che gli ufficiali erano "costretti" a parlare il Veneto.
Quale contraltare a questo, la allora marina Italiana era in netto contrasto nel suo interno e la rivalità fra le sue tre componenti (la Siciliana o Garibaldina, la Napoletana e la Sardo-Ligure) era assai grande e notevole. Inoltre fra i comandanti delle tre squadre vi era non solo divisione, ma anche rancore: infatti tra l'ammiraglio Persano, l'ammiraglio Albini e l'ammiraglio Vacca vi era addirittura odio.
Gli ordini, poi, venivano dati nelle rispettive lingue, o dialetti, ed in tale modo era del tutto evidente che fra gli equipaggi Italiani regnasse il caos più grande.
Leggiamo anche nell'allora quotidiano Francese La Presse, quale dimostrazione dell'andazzo di quell'epoca, una cosa che pare attuale dei giorni nostri: «pare che all'amministrazione della Marina Italiana stia per aprirsi un baratro di miserie: furti sui contratti e sulle transazioni con i costruttori, bronzo dei cannoni di cattiva qualità, polvere avariata, blindaggi troppo sottili, ecc. Se si vorranno fare delle inchieste serie, si scoprirà ben altro!». e così il quadro è completo!
Aggiungiamo, infine, che nelle Terre Venete si era già sparsa la voce di come i "fratelli piemontesi" avevano trattato i "fratelli delle Due Sicilie" quando erano andati a "liberarli", ossia dei villaggi bruciati, dei civili massacrati, dei soldati deportati, ecc., e si può ben capire lo spirito e l'animosità che i Veneti avevano nei confronti dei nuovi invasori.
E lo avevano di già dimostrato giorni prima, il 24 giugno, (come già detto…) quando parteciparono con vero eroismo a combattere nelle file austriache del Granduca Ferdinando a Custoza e contribuirono in maniera notevole alla sonora sconfitta dell'esercito sardo-piemontese, facendolo scappare a gambe levate fin oltre il Po.
Dunque, giunge il fatidico 20 luglio, e quanto segue lo leggiamo dalle Memorie del Regio Commissario Italo-Piemontese, conte Genova Thaon di Revel, incaricato dell'annessione forzata del Veneto all'Italia.
L'ammiraglio Persano non andava d'accordo con il suo capo di stato maggiore. Nulla sapevano i comandanti delle squadre del piano d'azione che aveva combinato Persano. Uscita la flotta dal porto di Ancona, varie squadre furono mandate a sparare inconsideratamente contro le batterie di terra altolocate di Lissa ed altri diversi punti della costa Dalmata, senza ottenere alcun risultato. E quando la flotta nemica giunse improvvisamente, le nostre navi divise, in bordeggiare incerto, ebbero pena a riunirsi. All'appressarsi del nemico, egli lasciò inopinatamente la nave ammiraglia, dalla cui alta alberatura attendevasi segnali, per andare a rinchiudersi nella torre dell'Affondatore. Il Re d'Italia colò a picco oppresso dale navi nemiche, mentre la Palestro salò in aria. Tegetthoff, le cui navi erano seriamente scosse, si rivolse verso Pola ed allora solamente si vide un segnale di Persano: «libertà di manovra!».
Sull'ordine del giorno osò scrivere essere rimasto «padrone delle acque». Al rovescio dei generali battuti a Custozza, egli si proclamò vincitore, essendosi tenuto fuori del pericolo. Salvò la vita, ma non il suo onore militare. Ripeto: questo dal diario del Thaon di Revel! Per la cronaca: il Nocchiero che era al timone della ammiraglia Austriaca, la Ferdinand Maximilian, e che speronò affondandola l'ammiraglia Sardo-Ligure-Siculo-Napletana, la Re d'Italia, si chiamava Vincenzo Vianello, da Pellestrina, detto "el Graton" e fu decorato con la medaglia d'oro al valor militare da Francesco Giuseppe: fu una delle tre medaglie d'oro e delle 140 d'argento elargite in quel giorno ai marinai Veneti! (su un totale di 14 d'oro e di 240 d'argento: le altre furono concesse agli ufficiali austriaci!).
Al momento dello speronamento, Tegetthoff disse in Veneto al Vianello «daghe dentro, Nino, che i butemo a fondi!».
Al momento dell'affondamento della nave Italiana, da quelle Austriache si levò un solo grido «VIVA S. MARCO!».
Guido Piovene, il grande scrittore ed intellettuale Veneto del ‘900, disse che «la battaglia di Lissa fu l'ultima grande vittoria della Marina Veneziana».
In poco più di una sola ora l'abilità di Tegetthoff e il valore dei marinai Veneti ha consentito alla marina Austro-Veneta (come la chiamano ancora gli storici austriaci) di riportare una vittoria meritata. Le perdite sono state complessivamente di 620 mori e 40 feriti fra gli equipaggi Italiani, e di 38 morti e 138 feriti fra quelli austro-veneti.
La corazzata Re d'Italia, speronata da quella austriaca, fu affondata in pochi minuti con la tragica perdita di 400 uomini, la corvetta Palestro fu colpita da un proiettile incendiario ed esplose trascinandosi dietro oltre 200 uomini. La superiorità numerica Italiana su quella Austro-Veneta era di circa il 60% di marinai e di circa il 30% di ufficiali.
L'antagonismo che vi era fra le due flotte era dato, principalmente, dal rancore che i Veneti avevano nei confronti dei sardo piemontesi, e degli altri Stati, per essere stati lasciati soli a patire la fame ed il colera durante la memorabile resistenza di Venezia nel 1849, oltre al resto…
E ciò fu notato anche dal Garibaldi, il quale «s'infuriò perché i Veneti non si erano sollevati per conto proprio, neppure nelle campagne dove sarebbe stato facile farlo!».
E lo crediamo bene: specie dopo il trattamento riservato ai Meridionali…
E' interessante, anche, quello che scrisse l'ammiraglio Angelo Jachino nel suo libro Navi e poltrone: «Non vi fu mai alcun movimento di irredentismo tra gli equipaggi e tra gli austriaci durante la guerra, nemmeno quando, nel luglio del 1866, si cominciò a parlare della cessione della Venezia all'Italia».
Va infatti ricordato che quell'infausto agosto del 1849, Venezia fu lasciata sola a difendersi più che dalle soverchianti forze austriache ed ai loro cannoni che bersagliavano la città, dalla fame e dal colera che decimarono la popolazione. E quando il Governo Veneto chiese una sottoscrizione all'Italia per essere aiutata, ponendo quale garanzia il Palazzo Ducale, vennero raccolte poche lire, al che il Tommaseo -alquanto demoralizzato- esclamò: «gli Italiani hanno dato a Venezia di che sfamarsi per una sola giornata!».
Solo i Napoletani accorsero alla difesa di Venezia con uomini come Pepe, Cosenz, Ulloa, ecc., e con quei pochi mezzi a loro disposizione…
Ed i Veneti, di questo, se lo sono ricordato proprio a Lissa! Alla fine, nonostante le sconfitte di Custozza e di Lissa, il Veneto venne annesso con la forza all'Italia.
E a Napoleone III, imperatore dei Francesi, non resterà altro da dire in riferimento ai Savoia: «Ancora una sconfitta, e mi chiederanno Parigi!!!».
E Giuseppe Mazzini, l'Apostolo dell'Unità d'Italia, scriverà sul Il Dovere del 24 agosto del 1866: «E' possibile che l'Italia accetti di essere additata in Europa come la sola nazione che non sappia combattere, la sola nazione che non possa ricevere il suo se non per beneficio d'armi straniere e concessioni umilianti dell'usurpatore nemico?».
Il 19 ottobre successivo nel Veneto si teneva uno degli ultimi plebisciti-burletta, come li definì Indro Montanelli nella sua "Storia d'Italia", per la sua forzosa annessione: forzosa, perché le votazioni avvennero sotto l'occupazione del territorio da parte delle truppe Piemontesi, i votanti dovevano passare attraverso due ali di militari per depositare nelle due urne (una per il sì e l'altra per il no) una delle due schede colorate, anche queste: una per il sì a l'altra per il no! Democraticamente!
L'unità d'Italia era fatta. Senza dare la possibilità al Popolo di esprimersi liberamente e in modo democratico.
«Uomini di ferro su navi di legno, hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro».
(dal rapporto dell’ammiraglio Willelm von Tegetthoff , «Brogliaccio». di bordo della «Ferdinand Maximilian».

 

 

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