VILLA DEI VESCOVI

 

 

«Il cittadino non informato o informato male è meno libero»

Videocracy «La malvagità del banale»

Il Veneto è una lingua

Referendum Provinciale del 25 Ottobre 2009

La Costituzione

 

Difesa del futuro contro pruriti partigianeschi

«Il cittadino non informato o informato male è meno libero», ha detto il presidente emerito della Corte Costituzionale.

 S'è dunque svolta la manifestazione nazionale "per la libertà d'informazione". Mah, per noi che frequentiamo ancora il vecchio Carlo Marx il regno della libertà è il superamento di quello della necessità in cui ancora ci troviamo e per adesso l'informazione non è altro che distribuzione a pioggia di ideologia dominante. Schierarsi con la componente di destra o di sinistra di questa ideologia è sempre schierarsi con una parte borghese e sappiamo come va a finire: prima o poi una parte chiede al proletariato di dare una mano, in guerra, contro l'altra.
Diego Gabutti
1946: Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe

 

Videocracy

«La malvagità del banale», così s'è espressa la critica antiberlusconiana parlando dell'ultimo film di Erik Gandini. Nel quale si parla del presidente-imprenditore tanto caro agli elettori italiani, di come egli abbia adattato a sé stesso una "società civile" che non ha fatto alcuna resistenza nel farsi adattare. Nel film c'è molto moralismo sinistrorso, ma oltre all'indignazione piccolo borghese emerge anche qualcosa di interessante. La società del Capitale è ormai mera contemplazione onanistica dell'immane accumulo di merci (materiali, immateriali e soprattutto ideologiche) che la inzeppa. E quindi non ha più freni inibitori né un qualche tipo di Etica Pubblica. Persino il cervello singolo diventa un terminale del Capitale impersonale, per cui la vita stessa è ridotta a pura rappresentazione egoistica di tipo televisivo, senza un briciolo di memoria sull'appartenenza comune di specie.
Diego Gabutti
2005: Una vita senza senso

 

 rivista n+1 Diego Gabutti

 

Rivista sul "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente"
Newsletter numero 150, 12 ottobre 2009 - Supplemento alla rivista n+1
Direttore responsabile Diego Gabutti
Registrazione al tribunale di Torino n. 5401 del 14 giugno 2000
Tutti i numeri della rivista - Numeri arretrati della newsletter - Lavorare con noi - Lavori in corso

 

 Il giornalista ‘’spogliato’’

L’informazione è sovrabbondante, ma il giornalismo sta scivolando irrimediabilmente verso il declino - Il sogno spezzato dell’indipendenza -.
C’è meno bisogno di giornalisti di prima perché internet «spoglia» il giornalismo delle sue funzioni tradizionali, che vengono ormai svolte in modo diverso, e lo lascia lì tutto nudo. Il «giornalista spogliato» è in concorrenza su tutti i fronti con dei nuovi attori e non sa più molto bene cosa sia, a cosa serva, o se può ancora servire a qualcosa. Non è che il giornalista non sia più utile. Dispone di competenze, di esperienza, di una cultura generale e professionale dell’attualità e dei lettori che permettono di produrre delle selezioni, gerarchizzazioni, contestualizzazioni delle notizie che restano pertinenti. Ma ha sempre meno specificità. E quindi gli è sempre più difficile far valere il «valore aggiunto» che egli può portare al trattamento dell’informazione - Il «giornalismo di link» - Un’ampia riflessione di Narvic

http://www.lsdi.it/2009/09/29/il-giornalista-%E2%80%98%E2%80%99spogliato%E2%80%99%E2%80%99/

 

Il Veneto è una lingua
Sig. Direttore,
Vorrei, per suo tramite, segnalare alla signora Ministra Gelmini, dato che non crede opportuno l’insegnamento del Veneto nelle nostre scuole, che la lingua che attualmente adottiamo è il Toscano, in quanto una lingua italiana non esiste e non è mai esistita.
Infatti è stato il signor Ricasoli, spalleggiato dal Manzoni, che nel 1863 volle far adottare una unica lingua per tutte le zone piemontizzate d’Italia.
Il Veneto, viceversa, è una lingua esistente fin da prima dell’avvento dei romani, poi trasformatasi lungo il corso dei secoli. Al punto che si può trovare la prima frase, o indovinello, in assoluto in Veneto moderno nel Codice LXXXIX della Biblioteca Capitolare di Verona, sulla faccia recta del foglio 3 e risalente al VII secolo. Eccola:
«SE PAREBA BOVES/ALBA PRATALIA ARABA/ ALBO VERSORIO TENEBA/NEGRO SEMEN SEMINABA».
Che tradotta sta a significare: «I se preparava (gli scrivani( il bò (le pergamene)/bianche pradarie i arava (con la penna)/ e bianco versor (la penna d’oca) i tegneva/ e negro come seme (l’inchiostro) semenava.
Chiaro, no? E ancor oggi in molte campagne del Veneto l’aratro si chiama «Versor».
E per oltre 600 anni il Veneto è stato scritto e parlato a Venezia e nei suoi territori, cioè molto prima di questo italiano.
E come se ciò non bastasse, ecco una breve recensione dal Gazzettino del 1968, in epoca non sospetta…:
«Pontico Vitruvio, che fiorì nel secolo XV, ne' suoi Commentarii alla grammatica greca del Guarino, fa molto elogio allo Idioma Veneto, nel quale rileva appunto tutta la maestà della lingua greca» (G. Boerio), «appellandolo francamente «pulcherrimus et doctissimus omnium sermo, in quo tota redolet linguae grecae majestas», «questa lingua fra tutte la più bella e la più dotta, in cui ogni suo aspetto ricorda la maestosità della lingua greca, questa lingua che per oltre un millennio fu parlata nel Foro e nel Governo della Repubblica... erede della antica lingua veneta o paleo veneta» (il Gazzettino del 22 XI 1968).
Cordialmente Gigio Zanon
 Venezia 23.05.09 Comunicato Stampa www.venetonostro.it

 

REFERENDUM PROVINCIALE DEL 25 OTTOBRE 2009

 

Apprendiamo con sdegno, ma senza sorprenderci, che il direttivo SVP si è pronunciato per il no al referendum provinciale del 25 ottobre 2009, che si propone di applicare più compiutamente - anche a livello della provincia di Bolzano - il dettato del Comma 2 dell’art. 1 della Costituzione: «La sovranità appartiene al popolo…» non mancando di osservare aprioristicamente che si tratta, allo stato attuale, d’una «sovranità» inesistente.
Il fatto che esistano i partiti politici (vedasi nello specifico il SVP) non è in alcun modo un motivo per conservarli. Lo affermava già nel 1943 Simone Weil.
Soltanto il bene è un motivo legittimo di conservazione. Il male dei partiti politici salta agli occhi. La questione da esaminare è se ci sia in essi un bene che abbia la meglio sul male e renda così la loro esistenza desiderabile.
Ma è molto più sensato chiedersi: c'è in loro anche solo una particella infinitesimale di bene? Non sono forse un male allo stato puro, o quasi?
Se sono un male, è certo che nei fatti e nella pratica non possono produrre altro che male. È un articolo di fede. «Un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni».
Ma bisogna innanzitutto riconoscere quale sia il criterio del bene. Non può essere rappresentato che dalla verità, dalla giustizia e, in seconda battuta, dall'utilità pubblica.
La democrazia, il potere della maggioranza non sono un bene. Sono mezzi in vista del bene, stimati efficaci a torto o a ragione. Se la Repubblica di Weimar, al posto di Rider, avesse deciso, per vie più rigorosamente parlamentari e legali, di mettere gli ebrei nei campi di concentramento e di torturarli con metodi raffinati fino alla morte, le torture non avrebbero avuto un atomo di legittimità in più di quanta ne abbiano adesso. E un tale fatto non è in alcun modo inconcepibile.
Solo ciò che è giusto è legittimo. Il crimine e la menzogna non lo sono in nessun caso. Quando la SVP sostiene che l’approvazione del quesito referendario provinciale del 25 ottobre «paralizzerebbe una politica efficace e di rapido intervento», fa delle affermazioni che secoli di democrazia nella vicina Svizzera smentiscono.
Il nostro ideale repubblicano deriva interamente dalla nozione di volontà generale dovuta a Rousseau. Ma il senso della nozione è andato perso quasi immediatamente, perché il concetto è complesso e richiede un grado di attenzione elevato.
L’attuale strategia dei partiti politici, SPV compreso, si configura come una conquista della democrazia attraverso l’eliminazione delle strutture di garanzia: la separazione dei poteri e i controlli giuridici e politici. Nessuno si dichiara dittatore. Tutti fanno finta di essere democratici. Ma non lo sono.
La California è patria della democrazia diretta (e tuttavia non è la sola). Il «Parlamento» più grande del mondo chiama alle urne ogni due anni 15 milioni di elettori-deputati. Basta raccogliere le firme del 5% degli aventi diritto per promuovere una consultazione, varare, abolire o emendare leggi, diminuire le tasse, tagliare la spesa pubblica, elevare il salario minimo. Non ci sembra - come afferma la SVP - che ciò «paralizzi una politica efficace e di rapido intervento».
abbiamo ascoltato anche troppe dichiarazioni di partiti politici e politicanti che assomigliano “filosoficamente” alle dichiarazioni della SVP. Essi affermano che, sotto la Costituzione italiana, sia quantomeno possibile per un uomo essere al contempo l’aderente ad un partito politico, un rappresentante del popolo, un legislatore ed un uomo onesto.
Questa proposizione implica come minimo che si consideri possibile che circa mille uomini (i parlamentari, ma nel nostro caso molti di meno, ovverosia la dirigenza del SVP) siano investiti, attraverso un qualche processo, del diritto di creare da soli delle leggi - cioè leggi e/o deliberazioni interamente di propria invenzione - e come tali necessariamente distinte dalla legge di natura, o dai principî della giustizia naturale, e che queste leggi e/o deliberazioni di loro creazione siano realmente obbligatorie per il popolo italiano ed altoatesino, e che per tale motivo il popolo possa essere legittimamente costretto ad obbedirvi.
La dirigenza della SVP (ed i partiti politici italiani in genere) parte dal presupposto che il diritto di dominio arbitrario - cioè il diritto di farsi da soli le leggi e di imporne l’obbedienza - sia un «incarico fiduciario» delegato a coloro che attualmente esercitano quel potere. Loro lo chiamano «l’incarico del potere pubblico».
Tuttavia, costoro sono in errore quando suppongono che un tale potere sia mai stato delegato, o possa mai essere delegato, da un qualche gruppo ad un altro gruppo di uomini. Una tale delega di potere è naturalmente impossibile, per le seguenti ragioni:
1. Nessuno può delegare o concedere ad altri alcun diritto di dominio arbitrario su se stesso, perché sarebbe come darsi in schiavitù. E questo nessuno lo può fare.
Ogni contratto che preveda ciò è necessariamente assurdo e non ha alcuna validità. Chiamare tale contratto «Costituzione” o in qualunque altra maniera altisonante non altera la sua caratteristica di contratto assurdo e nullo.
2. Nessuno può delegare o concedere ad altri alcun diritto di dominio arbitrario su una terza persona, perché ciò comporterebbe il diritto della prima persona non solo a fare del terzo il suo schiavo, ma anche di disporne come uno schiavo a favore di altre persone. Ogni contratto che stabilisca questo è necessariamente criminale, e come tale invalido. Chiamare tale contratto «Costituzione” nulla toglie alla sua criminalità, nulla aggiunge alla sua validità.
Questo fatto, che nessun uomo può delegare o cedere il proprio o altrui diritto naturale alla libertà, dimostra che non si può delegare ad un uomo o a un gruppo di uomini alcun diritto di dominio arbitrario - o, il che è la stessa cosa, nessun potere legislativo e/o deliberativo - su se stessi o su qualcun altro.
Bisogna invertire la tendenza autoritaria e dilapidatrice sia economica che della sovranità popolare, ed il quesito referendario del 25 Ottobre in Provincia di Bolzano, inserisce un grimaldello nella blindatura oligarchica d’una partitocrazia sempre più spregiudicata e distante dalle aspettative del cittadino-elettore-contribuente.
Enzo Trentin
Vicenza 10 settembre 2009 p. Comitato per i diritti dei cittadini - Vicenza

 

La Costituzione

È meglio legiferare sui diritti o sui fatti?

 

La Costituzione è un insieme di regole che stabilisce il ruolo che lo Stato deve avere nei confronti della vita di ogni associato (cittadino, persona, individuo).
Una Costituzione, se definita democratica (art. 1 Costituzione italiana, per esempio) può essere fondata in due diversi modi: tenendo in considerazione i "diritti" ed i "valori", oppure i "bisogni" ed i "fatti".
Diritti e valori lasciano la porta aperta a diverse e talvolta contrapposte interpretazioni. I Valori di Di Pietro, ad esempio, molto difficilmente saranno i Valori di Berlusconi ed i Diritti dell'uomo e del cittadino stabiliti sessanta anni fa nella famosa Carta, sono ben diversi dai Bisogni dell'uomo e del cittadino; la fame non può essere soddisfatta dai "diritti" come dimostra la realtà dell'Africa, ma dalla soddisfazione dei "bisogni".
Valori e diritti, infatti, sono concetti filosofici, che ognuno interpreta a modo suo, fatti e bisogni, in quanto misurabili e verificabili, si avvicinano ai concetti scientifici.
Ciò considerato dobbiamo scegliere, per prima cosa, quale dei due tipi di Costituzione si dimostra conveniente ed utile per le persone per garantire agli esseri umani ed alle future generazioni, la pace, la sicurezza, la giustizia, la giusta libertà, la giusta autorità, il controllo del potere che discende dalla politica, un certa eguaglianza, ed il benessere.
Possiamo considerare la domanda osservando due esempi concreti di forma di stato e di governo: da una parte la Costituzione italiana, fondata sui concetti filosofici dei diritti e dei valori dei cittadini; dall'altra la Costituzione Svizzera, fondata sui fatti e sui bisogni delle persone.
Chi conosce bene i due paesi, può fare un confronto: da una parte (l'Italia) la produzione di una grande quantità di ricchezza prodotta per le incredibili capacità di iniziativa e di lavoro di una parte considerevole del popolo, dalla varietà e bellezza dell'ambiente naturale, dall'arte, dalla storia e dalle risorse naturali, ma nessuna possibilità del Popolo di esercitare la SOVRANITA' sui FATTI, e di conseguenza mancanza di CONTROLLO del POTERE che discende dalla politica e chiacchiere, menzogne ed enormi perdite di tempo per parlare di valori e di diritti che spesso si trasformano in truffe di Democrazia.
Di conseguenza: disordine, spreco, insicurezza, privilegi, burocrazia enorme ed inutile tesa a frenare la libera iniziativa, servizi inefficienti, giustizia iniqua e lenta, caste, e chi più ne ha più ne metta.
Dall'altra (la Svizzera), un paese poverissimo di risorse naturali, dove il popolo può legiferare. In pratica: esercitare la SOVRANITA' sui FATTI che riguardano tutte le Persone secondo le competenze attribuite dal popolo ai diversi livelli istituzionali. Di conseguenza: controllo popolare del potere che discende dalla politica, ordine, sicurezza, controllo popolare della burocrazia, controllo popolare dell'efficienza dei servizi, garanzia della libera iniziativa, scarsa burocrazia, eliminazione degli sprechi, servizi sociali efficienti, eliminazione della povertà, rari e limitati privilegi, etc.
La scelta sembrerebbe facile. Ma... lo stesso POTERE, incarnato attualmente in persone note appartenenti a tutti i partiti politici che difendono la Costituzione, legato ai PRIVILEGI che la stessa ha abbondantemente procurato ai suoi osannatori, rifiuta questa analisi e si trincera velatamente dietro il fatto che il POPOLO non può governarsi per la sua cronica ignoranza e deve essere governato dai migliori.
I migliori, poi, li scelgono i PARTITI. Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da scompisciarsi dalle risa!
Ebbene, qui facciamo un ulteriore esempio derivato dalla storia: quando i Padri della Costituzione americana dovettero darsi un governo abbastanza forte da garantire la sicurezza dell'intero Paese per il futuro, fornirono la seguente soluzione a questo problema: trasformarono la QUESTIONE DELLA SOVRANITÀ in una questione di POTERI e del loro corretto esercizio, che si riassunse nella domanda: “CHI ha il potere di fare COSA”, ovvero a chi appartiene la sovranità dello stato e Chi la deve esercitare su Cosa. A noi piace rispondere:
il POPOLO deve avere il potere di LEGIFERARE a maggioranza sui fatti, sui bisogni e sulle aspettative che riguardano la vita di ognuno.
Questo potere è la SOVRANITA' POPOLARE che porta ad una Costituzione di GARANZIA deliberata sulla base dei FATTI e dei BISOGNI, mediante lo STRUMENTO giuridico del REFERENDUM legislativo (livello nazionale) e deliberativo (livello locale), delle proposte di legge d’iniziativa popolare, il diritto di revoca dei rappresentanti eletti ed altro ancora, ovvero mediante CONTRATTI POLITICI il cui contenuto è LEGGE dello Stato, proprio come avviene nella vicina Svizzera dove solo il popolo può fare e modificare la sua Costituzione (art. 195 Cost. Svizzera: «La Costituzione federale interamente o parzialmente riveduta entra in vigore con l'accettazione del Popolo e dei Cantoni».) e le Leggi che riguardano tutti.
Qui, dunque, le cose sono due: o sbaglia chi afferma che il popolo non ha diritto a farsi la sua Costituzione e le sue leggi, oppure sbagliamo noi che sosteniamo questo bisogno come inviolabile, inalienabile, imprescrittibile ed illimitabile quale GARANZIA di Democrazia e di libertà per noi e per le generazioni future.
Ma siamo solo noi a sostenerlo?
DANIEL J. ELAZAR, in «Idee e forme del federalismo», Ed. di Comunità, p. 91), scrive:
«La sovranità, nelle repubbliche federali, viene inevitabilmente attribuita al popolo, che delega i propri poteri ai diversi governi, o che si accorda per esercitare direttamente quei poteri come se esso stesso fosse il governo. Il popolo sovrano può delegare e dividere i poteri come meglio crede, ma la sovranità rimane sua proprietà inalienabile. Ne consegue che nell'esame dei governi federali il problema della sovranità non compare; si presenta solo la questione del potere. Nessun governo (o per estensione nessuna carica) può ritenersi "sovrano" e quindi credere di avere poteri illimitati, residuali o ultimi... Quindi il principio federale rappresenta una alternativa (e un radicale attacco) alla moderna idea di sovranità».
Non è difficile, da qui, giungere alla conclusione che il federalismo, in quanto idea di stato fondata sulla Sovranità popolare e sulla Democrazia intesa come governo popolare (Democrazia Diretta), si oppone al concetto di stato moderno, reificato, sovrano [si pensi a Giovanni Gentile: «Lo Stato è tutto e l’individuo è nulla.», accentrato ed indivisibile, basato sulla rappresentanza integrale, quale oggi è il modello costituzionale della Repubblica Democratica che hanno voluto, pur in un momento molto difficile, i costituenti del 1948.
La Democrazia è lo strumento della Sovranità popolare. Senza Democrazia non può esserci Sovranità popolare. Senza Sovranità popolare non esiste la Democrazia.
I partiti politici

Per valutare i partiti politici secondo il criterio della verità, della giustizia, del bene pubblico, conviene cominciare distinguendone i caratteri essenziali.
È possibile elencarne tre: Un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva. La passione collettiva è un impulso al crimine e alla menzogna infinitamente più potente di qualunque passione individuale.
In questo caso gli impulsi nocivi, lungi dal neutralizzarsi, si innalzano vicendevolmente all’ennesima potenza. La pressione è quasi irresistibile, tranne che per i santi autentici. Un partito politico è un'organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte. Il fine primo e, in ultima analisi, l'unico fine di qualunque partito politico è la sua propria crescita, e questo senza alcun limite.
Per via di questa tripla caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno. Queste tre caratteristiche sono verità di fatto, evidenti a chiunque si sia avvicinato alla vita dei partiti.
Quanto alla terza caratteristica dei partiti, ossia il fatto che sono macchine per fabbricare passioni collettive, è così evidente che non merita di essere spiegata.
La passione collettiva è l'unica energia di cui dispongono i partiti per la propaganda diretta all'esterno e per la pressione esercitata sull'anima di ogni membro.
Si ammette che lo spirito di partito acceca, rende sordi alla giustizia, spinge anche le persone oneste all'accanimento più crudele contro gli innocenti.
Lo si ammette, ma non si pensa a sopprimere gli organismi che fabbricano un tale spirito.
Ciononostante, si vietano gli stupefacenti.
La conclusione è che l'istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sotto i loro artigli, lo Stato è diventato uno spazio vuoto, pieno solo del denaro dei contribuenti, una res nullius esposta al saccheggio.
Per pensare a un rimedio, bisognerebbe essere capaci di ripensare radicalmente la democrazia. E avere il coraggio di pensare a una democrazia senza partiti.
A proporre una democrazia libera dai partiti fu non già un dittatore, ma Simone Weil. Incaricata dal governo di Charles De Gaulle in esilio, durante la guerra [1943], di elaborare una forma di costituzione per la Francia futura, essa pensò in modo radicalmente nuovo, a come garantire la libertà da ogni limite: e l’esistenza di partiti era, per lei, il limite più insidioso.
Il risultato del suoi pensieri è scritto nel suo libro: «L’enracinement» (nell’edizione italiana, «La prima radice», ma si veda anche il «Manifesto per la soppressione dei partiti politici»). Vi si legge: «Dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Non resta altra soluzione pratica che la vita pubblica senza partiti». Bisogna creare un'atmosfera culturale tale, dice Simone, che «un rappresentante del popolo non concepisca di abdicare alla propria dignità al punto da diventare membro disciplinato di un partito».
Simone Weil respinge l’obiezione che l’abolizione dei partiti avrebbe colpito la libertà di associazione e di opinione.
«La libertà d’associazione è, in genere, la libertà delle associazioni», contro quella degli esseri umani. Infatti, «la libertà d’espressione è un bisogno dell’intelligenza, e l’intelligenza risiede solo nell’essere umano individualmente considerato. L’intelligenza non può essere esercitata collettivamente, quindi nessun gruppo può legittimamente aspirare alla libertà d’espressione».
Allo stesso modo, in nome della libertà di pensiero, Simone Weil si augurava il controllo della libertà d’opinione. E la repressione, in casi determinati, della stessa libertà di stampa. «Le pubblicazioni intese a influire sull’opinione, ossia sulla condotta di vita, sono azioni vere e proprie, e debbono essere sottoposte alle medesime restrizioni a cui sono sottoposte le azioni illegali e immorali».
Nel moderno sistema della comunicazione dominato da uno sviluppo tecnologico senza precedenti (pensiamo all’odierno Internet che in prospettiva potrebbe persino rendere inutile il lavoro giornalistico), il giornalista resta un guardiano della verità, e la verità è cosa alquanto difficile da determinare. Ecco perché non ci resta che attenerci, ad ogni costo, ai fatti. Che sono i mattoni della verità.
«La pubblicità deve essere rigorosamente limitata per legge; le deve essere rigorosamente vietato di occuparsi di quanto concerne l’attività intellettuale».
«Allo stesso modo, può esistere una repressione contro la stampa e le trasmissioni radio, non solo se vìolino i princìpi della morale pubblicamente riconosciuta, ma per la bassezza del tono e del pensiero, per il cattivo gusto, per la volgarità, per l’atmosfera morale sornionamente corruttrice».
Simone Weil era ingenua? Molti credono di No! Fu allieva di Emile Chartier, più noto con lo pseudonimo di Alain, che la considerava una delle menti più brillanti della sua generazione, una «riformista rivoluzionaria». André Breton richiede sul quotidiano «Combat», n.1803, 21 aprile 1950 che «il “Manifesto per la soppressione dei partiti politici» sia pubblicato e destinato alla maggiore diffusione possibile», cosa che non avverrà.
Voleva una repubblica fondata non sui «diritti», ma sull’«obbligo».
«L’adempimento effettivo di un diritto non viene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa».
«Obbligo» è non negare agli altri uomini quelli che Simone Weil chiama «i bisogni dell'anima».
Bisogni che si devono distinguere dai «capricci, i desideri, le fantasie, i vizi».
Tra i bisogni dell’anima che ciascuno è obbligato a riconoscere agli altri (e incondizionatamente: «Chi, per semplificare i problemi, nega certi obblighi ha concluso nel suo intimo un patto col male.») per Simone Weil non ci sono dunque i PACS, le nozze gay e la clonazione. Quelli sono «capricci e fantasie». Dei bisogni veri, indispensabili, Simone ha stilato una lista inaudita: che va dalla «proprietà privata» alla «gerarchia», dall’«onore» alla «punizione».
Sì, l’uomo ha bisogno di punizione.
«Il solo modo di testimoniare rispetto a chi si è posto fuori della legge», scrive Simone, «è reintegrarlo nella legge sottoponendolo alla punizione che essa prescrive.
Il sistema penale deve destare nel delinquente il sentimento della giustizia mediante il dolore o, se occorre, persino la morte».
Come si vede, siamo agli antipodi della giustizia di manica larga del Paese di Pulcinella.
Certo il progetto di Simone Weil, nella sua radicalità, parrà inattuabile. Forse lo è. Ma bisogna almeno ripensare così radicalmente, per non ridurci vittime passive della partitocrazia, dei gangster, delle mafie, delle inefficienze, della tassazione persecutoria, e degli ignoranti estremi che li mettono al potere, e se ne fanno corrompere.
In fondo sarebbe abbastanza semplice se al posto degli istrioni che ci "rappresentano" in Parlamento e negli Enti locali avessimo delle persone normali.
Queste potrebbero impegnarsi a modificare leggermente il Comma 2, dell’art 1 della Costituzione scrivendo più o meno questo: "La Sovranità APPARTIENE al popolo che la ESERCITA come C… gli pare", partendo dall’introduzione dello stesso concetto in tutti gli Statuti di Comuni, Province e Regioni. Ma questo non avverrà mai finché il POTERE rimarrà ai partiti politici. Eppure la Democrazia è esattamente ciò che disse Abraham Lincoln:
«GOVERNO DEL POPOLO, DAL POPOLO, PER IL POPOLO».
E come soleva chiudere Walter Cronkite, uno dei più autorevoli anchorman USA (CBS Evening News) scomparso in questi giorni: «E questo è il modo in cui stanno le cose».
Enzo Trentin p. Comitato per i diritti dei cittadini Vicenza, mercoledì 22 luglio 2009

 

Libertà vo' cercando

di Francesco Martin

Newletter Wednesday, October 21, 2009 9:58 PM

 

Meno male che nel Belpaese si continua a strapparsi i capelli e cospargersi il capo di cenere in quanto non ci sarebbe libertà di espressione e di stampa.
Proprio in Italia? la Nazione eletta dei conflitti ideologici medievali provinciali secolari tra Guelfi e Ghibellini dai quali Dante prese le distanze a suo tempo... e che continuano amplificate nell'odierno paese che dovrebbe essere unito e parte di un'Unione Europea ormai affacciata alla globalità che si finge per questioni di comodo di non vedere? In Italia dove ognuno parla e sblatera ad ogni angolo della strada e dalle pagine di un numero enorme di riviste e quotidiani per stampare i quali vengono tagliate intere foreste utili a produrre prezioso ossigeno per un mondo sempre più inquinato non solo dall'anidride carbonica, ma da un vero e proprio diluvio universale informativo dove si dice tutto e il contrario di tutto?
E chi finisce in galera, alla fine, nel Belpaese, per le proprie idee, qualunque colore abbiano? Nessuno, mi pare, a differenza di altre nazioni del mondo targato 2009 dove per un semplice cenno o parola di dissenso, o per una lettera di protesta o per essere parte di una manifestazione di opposizione, si finisce in orrende carceri e anche condannati a morte.
Qui, al massimo si rischia di essere ignorati, nel peggiore dei casi, o di diventare dei divi mediatici onnipresenti e superpagati nel migliore dei casi, ma sempre recitando la parte ideologica delle vittime di un potere che, alla fine, li promuove e li pubblica a volontà, e li fa ricchi e ideologicamente potenti.
Si parla tanto liberamente in Italia, che si può anche scrivere e pubblicare su carta stampata o sul web in modo minaccioso nei confronti di cariche istituzionali elevate, a maggior ragione se nei riguardi di un nemico ideologico opportunamente indicato, vedi Berlusconi, magari avvertendo di essere politicamente in qualche modo protetti e difesi dalla parte politica che ha in odio (è il caso di dirlo, a questo punto) sia il presidente del consiglio, sia, evidentemente, il voto popolare democraticamente esercitato e la democrazia stessa, unita al concetto di libertà, che, a quanto pare, per un certo numero di persone, coincide con la libertà di stampo cubano (e costoro non dimentichino mai che a Cuba sarebbero comandati da un generale intoccabile, non criticabile e dittatoriale,... e magari questi sono anche antimilitaristi...).
La controprova è semplice: immaginate la infinita contestazione mediatica che sarebbe creata dagli esperti del settore se ad essere colpiti allo stesso modo, con dirette espresse minacce di morte, fossero esponenti dell'opposizione. Roba da Rivoluzione francese all'italiana.
Personalmente la penso come Dante (almeno questo ho imparato di buono ed utile in una scuola troppo spesso inutile e anch'essa soggetta a profondo controllo ideologico, diretto e indiretto) e non parteggio ne' per l'uno ne' per l'altro schieramento politico. Faccio anch'io parte per me stesso, e cerco di osservare le cose da un punto di vista imparziale. Tuttavia debbo notare, e osservo anche direttamente e sulla mia pelle questo fenomeno fin dal post-'68, che il mondo della cosiddetta cultura indirizzata al 95% in un'unica direzione specifica, ha responsabilità non da poco nella costituzione di un clima rissoso da attacco violento che ci fa sembrare, più che in una nazione occidentale a democrazia liberale, in una specie di paese da terzo mondo soggetto a "Rivoluzioni Libertarie" inevitabilmente destinate a sfociare in nuove dittature, come la storia insegna. Per fortuna, forse, facciamo anche in questo caso parte dell'Europa, che dai nostri cortili e dai nostri campanili è sempre una chimera lontanissima.
Ma vogliamo scherzare?
Qui si tratta innanzitutto, e semplicemente, di EDUCAZIONE e RISPETTO per qualunque avversario politico si confronti pubblicamente sulla realtà delle cose FACENDO PROPOSTE ALTERNATIVE COSTRUTTIVE che vadano nell'interesse del maggior numero possibile di cittadini, e non continuando ad alimentare un clima rissoso inutile ed uno scontro permanente fine a se stesso dove gli unici a guadagnare qualcosa sono i promotori, gli attori e gli sfruttatori mediatici (di qualunque parte) dello scontro che può raggiungere una sola meta finale: l'allontanamento di sempre più persone dalla politica, in quanto basta semplicemente osservare i fenomeni socioeconomici in modo scientifico, per capire come governare non sia facile per nessuno, e fare proposte alternative valide in un mondo che è molto diverso da quello di 20-30-40 anni fa sia ancora più difficile.
Francesco Martin cittadino europeo

 

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